Il caso Burioni: la divulgazione scientifica è democrazia?
Questa è la storia di come una discussione su Facebook sia diventata notizia. Questa storia riguarda la scienza, i vaccini, la democrazia e la libertà d’opinione, e ha inizio sulla pagina dell’ormai noto medico e docente universitario, Roberto Burioni, autore de Il vaccino non è un’opinione (Mondadori, 2016).
Nella sua «pagina di informazione scientifica», il 31 dicembre il professor Burioni pubblica un post per chiarire l’insensatezza della tesi secondo cui «gli attuali casi di meningite in Europa sarebbero dovuti all’afflusso di migranti dal continente africano». In poche parole, i ceppi di meningite prevalenti nei due continenti sono diversi, quindi non è possibile che il contagio provenga dall’Africa. Ovviamente però, l’idea continua a essere succulenta per gli estremisti, che hanno modo di discutere di un solo argomento riuscendo a essere antivaccinisti, complottisti, catastrofici e xenofobi tutto assieme. Quindi le polemiche continuano, e il professore riceve risposte che non apprezza, al punto di arrivare a rimuoverle, inizialmente con un lapidario annuncio (in maiuscolo) «I commenti vengono tutti cancellati».
Il giorno dopo fornisce una spiegazione più dettagliata, ma non meno lapidaria, in cui annuncia che la sua non è una pagina dedicata al dibattito aperto, ma piuttosto un luogo dove il professore cerca «di spiegare in maniera accessibile come stanno le cose» fornendo ai lettori dati e fonti per eventualmente approfondire. Conclude il commento una provocazione: «La scienza non è democratica». Un numero tuttora crescente di «mi piace« scroscia come un applauso in risposta, il Post Flashes ripubblica il suo commento definendolo «eroe», la notizia finisce sui giornali, Burioni è ospite in programmi televisivi. Contemporaneamente si infiamma la polemica, soprattutto quella ai limiti del verosimile, come quella di chi, riportato dallo stesso medico sulla sua pagina, lo definisce «uno schiavo delle lobby» se non un «alieno rettiliano».
Fra i più moderati, c’è chi comprende le motivazioni ma non approva i toni della sua risposta, soprattutto per quanto riguarda la frase conclusiva. Insomma, inutile discutere del fatto che il medico nella sua pagina possa essere poco democratico quanto gli piaccia, che possa essere frustrato dai commenti senza capo né coda di chi non ha la minima idea di cosa sia un ceppo batterico e che abbia la libertà di escludere queste persone dal dibattito. Ma si può estendere questo alla scienza, soprattutto nell’ambito della divulgazione scientifica? Numerosi blogger e giornalisti ritengono di no, fra tutti Antonio Scalari, su Valigia Blu, dove tratta diffusamente la questione di come comunicare la scienza «a suon di schiaffi» si sia rivelato un fallimento e di come sia piuttosto necessario un coinvolgimento del grande pubblico per assicurarsi la sua comprensione. Non formazione paternalistica ma informazione accessibile, non dettatura ma dialogo. Questo non toglie al professore il diritto di ridere di chi lo definisce un ibrido di Alpha Draconis, ma purtroppo la scienza non può concedersi questo lusso. Anzi, l’attualissima diffusione della propaganda antivaccinista è un serio fallimento con cui è necessario fare i conti.
Lisanna Paladin
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