La crisi demografica italiana. Le ripercussioni sull’economia e l’immigrazione
Pochi mesi fa abbiamo avuto a disposizione i dati demografici relativi al 2017, e intraprendendo un’analisi collegata al fattore del risparmio privato e dell’immigrazione, possiamo arrivare a conclusioni interessanti.
Il totale delle nascite per l’anno 2017 si attesta a 464 mila, 9000 in meno rispetto al 2016. Un ulteriore 2% in meno, che segna un nuovo minimo storico.
Il nostro declino è plasticamente rappresentato dai due grafici dell’articolo e con ciò, non possiamo non prendere atto che le sue origini siano pregresse all’ingresso nell’Euro. L’ultimo anno di crescita demografica, come si vede dal grafico (Fonte Wikipedia), fu il 1964, con un graduale calo, che ci fece arrivare sotto il tasso di riproduzione, che è pari a un livello leggermente superiore ai due figli per coppia (si deve prendere in considerazione la popolazione che per scelta o necessità non dà vita a nuova prole).
Con meno popolazione, c’è meno domanda interna e, in compensazione, dev’esserci un aumento del consumo individuale. Attraverso l’ormai famosa delocalizzazione, si intensifica la produzione per produrre più unità con il medesimo costo, reimportando i beni. Il problema è che, in questa maniera, si finisce per deindustrializzarsi.
Il secondo grafico (fonte OCSE) è dedicato al tasso di risparmio delle famiglie italiane. Sappiamo che, da un punto di vista storico, esso è uno dei più alti del mondo, ma comprendiamo subito l’avvenuto travaso del rispamio privato in consumi.
Una politica che abbia compreso i punti deboli non può non aver già analizzato il tema demografico, impostando un programma che ponga le basi per una ripartenza. Tuttavia, per riuscire in quest’impresa, serve uno Stato che abbandoni logiche liberiste, che si ponga al centro, come attore principale della vita della collettività. Le soluzioni liberiste attuali, su questo tema, ci riportano alla cosiddetta importazione di capitale umano (terminologia pessima, utilizzata da logiche neoliberiste, dove tutti siamo visti come ottica di merce).
Neoliberismo come fattore predatore, apolide e con lo scopo del profitto, ma incondizionato rispetto all’equilibrio di una società. Abbiamo evidenti differenze con l’Africa, ma in una condizione di travaso del profitto tramite abbassamento salariale (mantra ordoliberista), la logica è la medesima.
Entrando nel dettaglio, ciò darebbe un’ulteriore spinta al ribasso ai salari, laddove c’è già un eccesso pazzesco di forza lavoro inutilizzata. Senza Stato nell’economia, questa via non è risolutiva, perché ci sarà sempre altro «capitale umano» da far confluire per ripetere la medesima procedura e ritrovare competitività sulle esportazioni. Se la crescita non può avvenire via domanda interna, che viene appositamente compressa abbassando l’influenza dei lavoratori tramite l’abbassamento dei salari, deve avvenire vendendo le proprie merci agli altri.
Non è risolutiva neppure dal punto di vista demografico la soluzione attuale, almeno secondo me, perché il problema italiano, se nasce dal 1964, sfugge esclusivamente a logiche collegate alla crisi economica, ma è fattore culturale. Un economista che tratta spesso la tematica demografica, Gotti Tedeschi, collega l’inizio del problema demografico con il concetto di paternità responsabile, uscito dal Concilio Vaticano II. La popolazione immigrata assorbendo la nostra cultura, nel giro di poco tempo, assorbirà questo fattore culturale. Essa è una soluzione che pone un piccolo tampone, ma crea ulteriori tensioni sociali, figlie di un’estremizzazione del conflitto sociale dal basso.
L’investimento statale nella famiglia (qualsiasi forma essa abbia), servirà a creare le condizioni perché l’aumento demografico si sviluppi da sé, in un’ottica di Stato sociale. Lo Stato, in questo momento, ha di fatto le mani legate rispetto all’economia, e non si può pretendere che esista un altro metodo per incentivare le famiglie ad allargarsi.
In chiusura, mi augurerei l’istituzione di una commissione d’inchiesta su tema demografico italiano, per riflettere a fondo sulle basi della problematica, e cominciare davvero a trovare soluzioni.
Simone, ventottenne sardo, ha vagato in giovanissima età per il Piemonte, per poi far ritorno nell’isola che lo richiamava. Ama scrivere su tematiche politiche ed economiche. Legge per limitare la sua ignoranza.