Il mistero del «Corvo 2»: chi ha scritto l’anonimo?
di Progetto Turing: Tito Borsa
Seconda puntata
Il «Corvo 2» negli anni è stato attribuito a vari soggetti.
Uno degli accusati è stato Bruno Contrada, numero tre del Sisde, arrestato la vigilia di Natale 1992 e condannato definitivamente in Cassazione nel 2007 per concorso esterno in associazione mafiosa, condanna poi annullata dieci anni dopo perché nel ’92 il reato non esisteva.
Nella sua testimonianza al processo contro Contrada, il tenente dei carabinieri Carmelo Canale, uno dei più stretti collaboratori di Borsellino, riferisce che – probabilmente nel gennaio 1992 – Falcone con «gli occhi di fuori» raccontava a Borsellino che il responsabile del fallito attentato ai danni di Falcone all’Addaura (risalente al 1989) era proprio Contrada. «Vidi Borsellino bianco, Falcone agitatissimo che diceva che se fosse riuscito a diventare superprocuratore nazionale gli avrebbe messo i ferri (a Contrada, ndr)».
Nel luglio 1992, Canale accompagna Borsellino, di ritorno dalla Germania, a colloquio con Angelo Finocchiaro per discutere del trattamento dei collaboratori di giustizia. Il tenente rimane fuori dalla porta. Nonostante la sua tradizionale sintesi nei colloqui, Borsellino rimase a parlare per mezz’ora. I due parlarono anche del «Corvo 2», che – sempre secondo la testimonianza di Canale al processo contro Contrada – era un anonimo arrivato al Sisde che il numero tre dei servizi aveva rielaborato e mandato a procure e giornali. La prima versione del testo sarebbe stata opera di un «avvocato fratello di sette avvocati». Alla luce di questo, Canale era convinto che si trattasse di un depistaggio.
Un’altra ipotesi è quella che il «Corvo 2» sia stato scritto in ambienti del Ros, il Raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri. Sempre il tenente Canale ha dichiarato, durante un’udienza del 2013 nell’ambito del processo Borsellino quater, che il motivo per cui Borsellino volle incontrare l’allora capitano Giuseppe De Donno e l’allora colonnello Mario Mori il 25 giugno 1992 nella caserma Carini dei Carabinieri di Palermo, era proprio dovuto all’interesse che il magistrato aveva per il «Corvo 2».
L’autore del «Corvo 2», chiunque fosse, era qualcuno che sapeva che a Palermo in via Roma 457 c’era la Gus, società di copertura del centro palermitano del Sisde, tanto da suggerire: «Chi e che cosa si nasconda sotto questo nome (servizi, ndr) vada a Palermo in via Roma 457». Nella stessa strada, guarda le casualità, c’era anche lo studio palermitano di Pietro Di Miceli, il commercialista accusato dall’anonimo di aver commissionato ai servizi la strage di Capaci.
Sull’anonimo hanno indagato i R.O.S. del questore Achille Serra e del generale Antonio Subranni, con la collaborazione di polizia, Sco e Carabinieri, ma poi è finito tutto archiviato. Da notare che Subranni stesso è stato condannato, con Mori e De Donno, in primo grado al processo Trattativa. Questa era l’accusa:
«Subranni Antonio, Mori Mario e De Donno Giuseppe, ponendo in essere (nella loro rispettiva qualità di Comandante del Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri, Vice Comandante operativo e di Ufficiale addetto al predetto R.O.S.), in relazione alle sopra menzionate richieste, le seguenti condotte: inizialmente contattando, su incarico di esponenti politici e di governo, uomini collegati a “Cosa Nostra” (fra gli altri, in particolare, Ciancimino Vito Calogero, nella sua veste di tramite con uomini di vertice della predetta organizzazione mafiosa ed “ambasciatore” delle loro richieste), e così agevolando l’instaurazione di un canale di comunicazione con i capi del predetto sodalizio criminale, finalizzato a sollecitare eventuali richieste di “Cosa Nostra” per far cessare la strategia omicidiaria e stragista; in seguito favorendo lo sviluppo di una “trattativa” fra lo Stato e la mafia, attraverso reciproche parziali rinunce in relazione, da una parte, alla prosecuzione della strategia stragista e, dall’altra, all’esercizio dei poteri repressivi dello Stato; successivamente assicurando altresì il protrarsi dello stato di latitanza di Provenzano Bernardo, principale referente mafioso di tale “trattativa”; condotte tutte che, per un verso, agevolavano la ricezione presso i destinatari ultimi della minaccia di prosecuzione della strategia stragista e, per altro verso, rafforzava- no i responsabili mafiosi nel loro proposito criminoso di rinnovare la predetta minaccia; Mannino Calogero Antonio, ponendo in essere, in relazione alle sopra menzionate richieste, le seguenti condotte: contattando, a cominciare dai primi mesi del 1992, esponenti degli apparati infoinvestigativi al fine di acquisire informazioni da uomini collegati a “Cosa Nostra” ed aprire la sopra menzionata “trattativa” con vertici dell’organizzazione mafiosa, finalizzata a sollecitare eventuali richieste di “Cosa Nostra” per far cessare la programmata strategia omicidiario-stragista, già avviata con l’omicidio dell’on. Salvo Lima, e che aveva inizialmente previsto l’eliminazione, tra gli altri, di vari esponenti politici e di Governo, fra cui egli stesso Mannino; esercitando altresì, in epoca successiva, ed in relazione alle richieste di “Cosa Nostra”, indebite pressioni finalizzate a condizionare in senso favorevole a detenuti mafiosi la concreta applicazione dei decreti di cui all’art. 41 bis ord. penit.; con le sopraindicate condotte così agevolando lo sviluppo della “trattativa” Stato-mafia sopra menzionata, e quindi rafforzando il proposito criminoso di “Cosa Nostra” di rinnovare la minaccia di prosecuzione della strategia stragista; Bagarella Leoluca e Brusca Giovanni, prospettando al Capo del Governo in carica Berlusconi Silvio, per il tramite di Mangano Vittorio (deceduto) e di Dell’Utri Marcello, una serie di richieste finalizzate ad ottenere benefici di varia natura (tra l’altro concernenti la legislazione penale e processuale in materia di contrasto alla criminalità organizzata, l’esito di importanti vicende processuali ed il trattamento penitenziario degli associati in stato di detenzione) per gli aderenti all’associazione mafiosa denominata “Cosa Nostra”. Ponendo l’ottenimento di detti benefici come condizione ineludibile per porre fine alla strategia di violento attacco frontale alle Istituzioni la cui esecuzione aveva avuto inizio con l’omicidio dell’on. Salvo Lima ed era proseguita con le stragi palermitane del ‘92 e le stragi di Roma, Firenze e Milano del ’93».
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Per farla breve da quegli anni a venire i mafiosi si sono seduti in parlamento.