Il campo: distopia del controllo tra sovranità e Stato d’eccezione
Quando lo Stato d’eccezione s’allarga fino a sconfinare nella normale prassi, possiamo cominciare a ragionare sul concetto di campo, ragionare sulla distopia del controllo tra sovranità e Stato d’eccezione. Campo come luogo dove l’impossibile diventa possibile, dove non esiste un limite fissato a livello ordinamentale, per un conflitto esistente sul controllo della sovranità. La legittimità dello Stato moderno si manifesta proprio nel momento in cui scoppia l’emergenza e chi controlla le decisioni in quel preciso momento può essere definito come il vero detentore della sovranità.
Non è un aspetto di poco conto quest’ultimo, letto sulla base di un enorme caos sulla detenzione della sovranità. Chi la detiene? In assenza di questo enorme interrogativo, non avrebbe avuto senso il concetto politico di sovranismo, sia esso deviato, infiltrato, o più puramente strutturato sulla via costituzionale. La via costituzionale nasce dal caos generato dalle sovrastrutture, e punta in direzione del faro luminoso che ci fa orientare nei momenti più bui: la Costituzione. Costituzione come patto sociale, tradito, ma ancora vivo per ricostruire dalle macerie.
È dal tradimento del patto sociale che rivive il concetto di campo. Rivive perché rinasce una contesa senza limiti, che quel patto aveva spento proprio fissandoli e dettando le regole della contesa democratica. Possiamo riprendere in particolare due distopie che si rifanno a questo concetto:«Il condominio» di Ballard e «Il cerchio» di Eggers.
Nel primo romanzo, risalente al 1975, si sviluppa una distopia ambientata in un grattacielo di Londra, dove all’ordinamento statale è sospeso, sostituito con regole interne. Il grattacielo, abitato da 2000 persone, è visto come una città verticale, composta da 40 piani, dove si sviluppa un esperimento sociale pensato dallo scrittore Ballard: i primi nove piani sono abitati dal proletariato, dal decimo al trentacinquesimo c’è la classe media e dal trentaseiesimo al quarantesimo c’è la classe superiore, composta in prevalenza da imprenditori. L’attico all’ultimo piano è abitato dall’architetto che ha progettato il grattacielo e la sovranità è gestita dalla classe superiore. All’interno c’è tutto quello che serve per permettere agli inquilini di isolarsi dal mondo esterno: palestre, piscine, campi da squash, una scuola materna, una banca, bar, ristoranti e supermercati.
La gestione della classe superiore porta malumori nel condominio. Nascono tensioni, scontri, morti. È il fallimento dell’esperimento sociale, la rappresentazione dell’eterna paura umana di risvegliarsi nuovamente scimmie.
Il secondo romanzo, si sviluppa in una distopia tecnologica nata nel campus californiano della società informatica che dà il nome al romanzo. L’ordinamento californiano non ha alcun valore all’interno del campus. La sovranità dello Stato è sospesa. I programmatori sono i legislatori del campus e la programmazione informatica diventa fonte di diritto. In un contorno di benefici per le famiglie dei 10mila lavoratori della società, ciò che conta è l’obbligo di mettere in vetrina, nei social, le propria vita. Dare in pasto la propria privacy all’azienda, generando una perdita di controllo sulla propria identità.
Due spaccati di distopie vivissime nei giorni nostri, basate sul concetto di campo.
Simone, ventottenne sardo, ha vagato in giovanissima età per il Piemonte, per poi far ritorno nell’isola che lo richiamava. Ama scrivere su tematiche politiche ed economiche. Legge per limitare la sua ignoranza.