A che cosa si attribuivano le epidemie nel passato?
Da un anno siamo invischiati nel bel mezzo di una pandemia. La nostra società ne sta subendo tutte le relative ricadute, che investono tutti i livelli del vissuto. Vista tale situazione, può essere interessante fare un passo indietro nel tempo, per verificare le differenti teorie a cui si attribuiva l’insorgenza delle epidemie nel passato.
L’Italia è stata colpita più volte dalla peste, ma l’epidemia più conosciuta rimane quella arrivata nel 1347, ricordata come «Peste nera». Giunta tramite dei mercanti genovesi sbarcati al porto di Messina, essa si diffuse negli anni successivi in tutta l’Europa settentrionale. Attraverso Giovanni Boccaccio possiamo ricostruire anche l’attesa della Peste, considerando il fatto che, sempre tramite i mercanti, la popolazione era ben conscia che da oriente l’epidemia si stesse spostando verso occidente e, presto o tardi, sarebbe potuta giungere anche in Italia. Si misero in campo misure differenziate, dal religioso fino alla politica sanitaria:
- digiuni;
- drocessioni svolte da fedeli;
- purificazione dell’aria mediante spezie;
- consulti tra i medici e le istituzioni politiche;
- istituzione di un ente pubblico specializzato nella pulizia delle strade.
Tuttavia, come la Storia ci racconta, la peste arrivò puntualmente e lo fece più volte nel tempo. Tra il 1347 e il 1351 fece venti milioni di morti complessivi in Europa, circa 1/3 della popolazione totale. Ma quali furono le teorie che giustificarono il passaggio da un individuo all’altro dell’infezione? Ne troviamo principalmente due: la teoria miasmatica e la teoria del contagio.
Considerando principalmente la teoria miasmatica, essa aveva un’origine greca e collegava la comparsa delle epidemie a fenomeni di putrescenza originatisi dalle viscere della Terra, o nelle zone paludose, negli stagni o negli acquitrini, fino ai cadaveri. Tali fenomeni di putrescenza erano considerati all’origine dei cosiddetti miasmi, esalazioni colpevoli della comparsa delle epidemie.
Dall’altra parte, a partire dal 1500, si affacciò una nuova ipotesi: la teoria del contagio. Essa fu proposta dal veronese Girolamo Fracastoro, secondo cui l’espansione delle epidemie tra gli individui era da attribuire a uno scambio di semi della malattia dagli infetti ai sani. Tale scambio di semi poteva avvenire in tre modalità differenti:
- via contatto personale;
- via aria;
- via contatto con oggetti.
Tuttavia, le soluzioni di salute pubblica messe in campo per combattere l’epidemia non variavano da una teoria all’altra. Entrambe le visioni mettevano in campo pratiche come: quarantene, distanziamento, allontanamento dalle città infette, bonifiche ambientali, enti pubblici di pulizia delle strade e di controllo dell’esercizio medico, medici specificatamente dedicati alla cura esclusiva degli infetti dall’epidemia.
Al di là degli episodi epidemici, quando un individuo poteva definirsi malato? Secondo la teoria degli umori, di scuola ippocratica, un individuo si ammalava al rompersi dell’equilibrio soggettivo dei quattro umori dediti al nutrimento dell’organismo: sangue, bile gialla, bile nera e flegma. Il ruolo del medico era quello di ripristinare l’equilibrio soggettivo pregresso, calcolando i giorni critici – grazie a competenze riguardanti gli astri – al fine di comprendere il decorso della malattia e somministrare i medicinali nelle dosi necessarie all’apice della malattia. La guarigione arrivava con il ripristino dell’equilibrio umorale pregresso, acquisito alla nascita, variabile lungo il corso della vita dell’individuo, che era collegato a diverse variabili.
Dai quattro elementi aristotelici – terra, acqua, aria e fuoco – si generava la complessione, ovvero una coppia di qualità acquisite alla nascita dal soggetto, variabili in base al sesso, ma anche alla posizione geografica, promotrici di un determinato carattere dell’individuo. Un quadro generale in base all’umore predominate:
- sangue: complessione calda e umida, persona allegra;
- bile gialla: complessione calda e secca, persona permalosa;
- bile nera: complessione fredda e secca, persona malinconica;
- flegma: complessione fredda e umida, persona calma.
La complessione, in età giovanile, tendeva ad essere tendente al caldo e umido, per poi spostarsi verso il freddo e secco con l’aumento dell’età. Inoltre, una complessione fredda e umida era più riconducibile alle donne e ai popoli più settentrionali.
Simone, ventottenne sardo, ha vagato in giovanissima età per il Piemonte, per poi far ritorno nell’isola che lo richiamava. Ama scrivere su tematiche politiche ed economiche. Legge per limitare la sua ignoranza.