Abano Terme: anche nel padovano la profugo-fobia
Il sindaco di Abano Terme (Padova) Luca Claudio dice no ai profughi: «Siamo pronti a barricate e pesanti manifestazioni con mobilitazione di massa. Anzi, si invita già la cittadinanza a tenersi pronta per creare manifestazioni pacifiche di blocco a tale scellerata e sciagurata gestione delle politiche governative sull’accoglienza dei profughi», scrive su Facebook. E poi, secondo quanto riporta il Mattino di Padova, aggiunge: «Chi dice sì ai profughi deve prendersi le proprie responsabilità e per questo lancio una proposta: un censimento tra tutti i cittadini. Penso che sia giusto inviare a casa di ogni cittadino un questionario con il quale si chiede la disponibilità nell’accogliere o meno a casa propria i profughi. Chi dirà sì dovrà indicare anche i posti letto disponibili e, soprattutto, assumersi le proprie responsabilità nel caso in cui queste persone combinassero qualche guaio in giro».
Prima di tutto è bene chiarire una cosa: Luca Claudio ha fatto un’ottima mossa politica, decidendo di stare «dalla parte» del turismo e dei suoi cittadini a costo di prendere posizioni a dir poco stupefacenti. Vediamo un po’ perché.
L’abbiamo citato più volte ma evidentemente non è ancora abbastanza. Ecco il terzo comma dell’articolo 10 della Costituzione: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». A parte il fatto che non si parla di «guerra», bensì di «libertà democratiche», sbaglio o c’è scritto «diritto d’asilo»? Pur non volendo apparire esasperatamente pignoli, siamo andati sul sito della Treccani a cercare la definizione di diritto: «Garanzia, tutelata dalla legge, di un determinato comportamento».
Cosa significa? Che non è questione di dire sì o di dire no ai profughi, usando lo stesso lessico utilizzato da Luca Claudio: accogliere chi è nelle condizioni descritte dalla Costituzione non è altro che un nostro dovere. Ma, attenzione, non nostro dovere di privati cittadini, ma dovere dello Stato.
È un esempio che faccio molto spesso: se noi andiamo in ospedale per farci curare, dobbiamo forse ringraziare qualcuno? Se il cibo fa schifo dobbiamo tacere perché intanto ci hanno operato? Se non c’è posto negli ospedali, distribuiamo un questionario per chiedere chi vuole prendersi qualche convalescente in casa? Pare grottesco ma si tratta sempre di diritti. Se poi – come dice qualcuno – solo una minima parte degli immigrati è nelle condizioni di richiedere asilo e gli altri no, mi dispiace dirlo ma questi sono problemi nostri, non certo dei profughi.
Se, invece di lamentarci tanto, provassimo a fare qualcosa per distinguere subito chi è davvero un «profugo» (e secondo me non sarebbero così pochi) e dargli subito ciò di cui ha diritto, magari facendolo lavorare in modo tale da potersi presto permettere una casa propria; se facessimo qualcosa di concreto, anziché piagnucolare senza combinare un accidente, forse duecento esseri umani non sarebbero costretti a starsene in pieno luglio in una tendopoli sotto il sole cocente.
«Hai parlato di lavoro, ma se non ce n’è neppure per gli italiani?». Questa probabilmente è un’obiezione che sarà sorta in qualche lettore leggendo il paragrafo precedente. Non si parla di garantire un lavoro ma di far entrare i profughi nel mondo del lavoro, in modo che possano competere con i cittadini italiani.
Ma questi discorsi non esaltano le folle, non pompano il consenso. Forse è per questo che sono davvero fuori moda.
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia