Alla riscoperta di Italo Calvino

La straordinaria ponderazione rilevabile nel sapiente utilizzo del gusto dell’ironia, l’interesse smodato e insito nella sua stessa psiche per le scienze e per i tentativi di spiegazione del mondo, nonché, una tipologia di scrittura sempre cristallina, coesa, coerente, lineare e scorrevolmente fluida sono i tratti salienti della poetica di Calvino. «I nostri antenati», «Marcovaldo», «Le cosmicomiche», «Se una notte d’inverno un viaggiatore» furono solo alcune delle opere che lo resero celebre nel panorama editoriale e letterario italiano e internazionale. Riservato nel raccontar vicende private, fin da subito si manifestò particolarmente ostile a rilasciare interviste che si fondassero su pettegolezzi o dati famigliari troppo correlati con l’interiorità del soggetto, come rivela una lettera spedita a Germana Pescio Bottino risalente al giorno 9 giugno 1964: «Dati biografici: io sono ancora di quelli che credono, come Benedetto Croce, che di un autore contano solo le opere. Quando contano, naturalmente. Perciò dati biografici non ne rilascio, o comunque dico il falso, o addirittura cerco di cambiarli da una volta all’altra. Mi chieda pure quello che vuol sapere e glielo dirò. Ma non le dirò mai la verità, di questo ne può star sicura». Inarrestabile e inguaribile ironico, introdusse all’interno dei suoi scritti l’elemento fantastico, utilizzato per interpretare la realtà, codificandola secondo un sistema di pensiero e d’azione quanto più conforme alla poetica da lui sostenuta, ne sono un eclatante esempio le opere «Il Barone Rampante» e «Il Visconte Dimezzato». «I Sentieri dei Nidi di ragno» rappresenta la prima opera di Italo Calvino, pubblicata nel 1947 dalla nota casa editrice «Einaudi Editore». La vicenda narrata, svoltasi in territorio ligure, è contemporanea al drammatico evento del secondo conflitto mondiale, destinato ad attanagliare la penisola italica fino all’avvento delle forze alleate prontamente supportate da milizie volontarie che opposero una radicale resistenza partigiana, insorte all’interno del tessuto sociale. Il genere letterario al quale «I sentieri dei Nidi di Ragno» appartiene è il romanzo neorealista. Protagonista principale del Romanzo è Pin, attorno al quale, tuttavia, è possibile riscontrare protagonisti secondari e comparse che fungono da sfondo come: Cugino, Lupo Rosso, Il Dritto, Kim, Ferriera, Pelle e la Nera di Carrugio Lungo, sorella di Pin. L’autore del Romanzo, in un’intervista rilasciata alla testata giornalistica «Il Corriere della Sera» descrisse la modalità attraverso la quale si accostò direttamente alla stesura del progetto editoriale: «Ricordo che scrissi con grande lentezza e incertezza il primo capitolo, poi lo interruppi per alcuni mesi, poi decisi di finirlo e lo portai avanti tutto d’un fiato».
Italia. Armistizio di Cassibile, 8 settembre 1943. In un piccolo paesello ligure di modeste dimensioni della Riviera di Ponente, tra valli, boschi, rocce e luoghi impervi, laddove la lotta partigiana era nettamente più intensa, presente e radicata viveva Pin, un bambino di circa dieci anni, disgraziatamente colpito da una tragedia familiare che contribuì a definire la condizione esistenziale del protagonista dell’opera. Orfano di madre e con il padre marinaio irreperibile e irraggiungibile, venne abbandonato a se stesso, in perenne ricerca di amicizie tra i passanti, nel vicolo sul quale si affacciava la sua abitazione, o tra i presenti all’osteria che spesso frequentava. Quest’ultima risulterà essere un luogo poco formativo per la crescita psicologica del fanciullo, il quale sarà spesso oggetto di scherno e insulti da parte dei presenti a causa della professione lavorativa poco nobile svolta dalla sorella alla quale, godendo di una discreta fama negativa, era stato attribuito il soprannome dispregiativo Nera di Carrugio Lungo.
Pin, provocato in un secondo tempo dagli adulti, i quali disperatamente cercheranno di stuzzicarlo al fine di attestare attraverso una prova di coraggio la sua fedeltà, sottrarrà a Frick, un marinaio tedesco amante della sorella, la pistola di servizio. Dopo esser stata vergognosamente trafugata, la P38 verrà immediatamente sotterrata in campagna, in un luogo sconosciuto a tutti e lontano da occhi indiscreti, in cui era solito rifugiarsi e dove i ragni abitudinariamente tessevano i propri nidi. Il furto scoperto sottoporrà il poveretto alla gogna pubblica, in seguito alla quale verrà arrestato e internato in prigione, sottoposto alla pena giuridica prevista per quella tipologia di reato. La pena imposta, seppur si prefiggesse come fine ultimo di poter risanare la coscienza morale dell’individuo non riuscirà a perseguire l’obiettivo prefissato, poiché sottoporrà il giovane soggetto carcerato alla condivisione dello spazio nel quale si concretizzava la detenzione carceraria con individui che vorranno definitivamente imporre la propria supremazia attraverso l’ausilio della violenza e della forza bruta. Nonostante alcuni incontri che si riveleranno esser spiacevoli per le pieghe trasversali che gli eventi narrati prenderanno, in questo intervallo di tempo conobbe Pietromagro, ciabattino di cui divenne garzone, e specialmente Lupo Rosso, giovane e coraggioso partigiano, che in prigione subiva costantemente interrogatori pressanti e violenze inaudite da parte dei fascisti, ai quali era assegnato il compito di eliminare o convertire gli spiriti anticonformisti, ossia quelli degli oppositori politici del regime fascista. Lupo Rosso aiuterà Pin ad evadere dalla struttura carceraria, ma una volta fuori, per cause indipendenti dalla sua volontà abbandonerà Pin a se stesso. Costui si ritroverà in un lasso temporale alquanto rapido a girovagare nel bosco in completa solitudine, finché non incontrerà Cugino, un partigiano solitario alto, grosso e dall’aria mite. Questi lo condurrà sulle montagne, al gruppo segreto di militanti partigiani a cui apparteneva: il distaccamento del Dritto. Pin entrerà, quindi, in contatto con una folta casistica umana di antifascisti, dalla dubbia eroicità, tutti caratterizzati dai più comuni difetti umani, tra questi vi erano: Dritto il comandante, Pelle, Carabiniere, Mancino il cuciniere, Giglia la moglie di Mancino, Zena il lungo detto Berretta di Legno o Labbra di Bue. Sistematosi presso costoro si rese partecipe della vita antifascista opponendo resistenza e resilienza. Una notte Dritto appiccherà inavvertitamente il fuoco all’accampamento nel quale soggiornavano in quel tempo. Questa mossa improvvisata rappresenterà un duro colpo al quale la globalità del gruppo della resistenza partigiana dovrà necessariamente reagire positivamente, assorbendo l’accaduto interiormente all’interno coscienze individuali; questa sua folle e improvvisa imprudenza costrinse i compagni partigiani a fuggire, insediandosi in un secondo tempo presso un vecchio casolare dal tetto sfondato. Le lotte intestine interne al gruppo, tuttavia, non poterono considerarsi concluse. Un litigio col capo brigata, infatti, irritò Pelle a tal punto da spingerlo al tradimento dei suoi compagni: messosi in cammino per il villaggio, rivelerà ai tedeschi l’insediamento partigiano. In seguito, la Resistenza provvederà a freddarlo, neutralizzandolo definitivamente. Il giorno seguente i comandanti partigiani, Kim e Ferriera, fecero istintivamente un sopralluogo nel distaccamento del Dritto, impartendogli alcune istruzioni e direttive riguardanti l’imminente battaglia che avrebbero dovuto affrontare. Al momento di partire però il Dritto, ormai ridotto all’ombra di se stesso, si rifiutò di scendere in battaglia e decise di restare in compagnia di Giglia.
Con loro resterà solo Pin il quale, sin dall’incendio aveva compreso l’interesse intrinseco alla vicenda che i due avevano maturato nel corso del tempo, sorprendendoli, una volta partiti tutti, nell’atto di consumare il loro sesso adulterino. Il Dritto d’altronde da questo preciso istante incomincerà a nutrire il forte sospetto di aver segnato indelebilmente il suo destino fatale. Per Sempre. Una ritirata strategica, invece, risolverà il conflitto bellico tra forze armate. Il bilancio complessivo ottenuto dallo scontro a fuoco sembrò esser nel complesso positivo: un solo morto e un ferito. Ritenendo che l’accampamento non fosse più sicuro come prima, i partigiani si rimisero in cammino, al fine di raggiungere questa volta la postazione di altre brigate partigiane, alleate nella lotta antifascista. Se incominciava a prospettarsi un lieto fine, le discussioni iniziarono nuovamente a esser fomentate e accese quando Pin cominciò a rivelare la tresca amorosa instauratasi tra il Dritto e la Giglia scoperta il mattino. Il Dritto tenterà allora di zittire il bambino, malmenandolo, tanto che Pin arriverà a mordergli con tenacia la mano, in segno di vendetta fisica. Con quel gesto rabbioso uscirà furibondo dal casolare isolato, scappando via correndo con gran foga. Incontrerà sul suo cammino di tanto in tanto alcuni soldati tedeschi e, dopo alcuni giorni di marcia, arriverà al suo paesino, il quale aveva subito un tracollo dopo il rastrellamento serrato perpetrato delle forze naziste. Ancora una volta si rifugerà nel suo luogo segreto, ma vi troverà tutta la terra eterogeneamente rimossa. Inoltre, la pistola risulterà esser scomparsa: era quasi sicuro che fosse stato il l’ex compagno Pelle a prelevarla in gran segreto. Visibilmente sconvolto, si recò dalla sorella con la quale i rapporti si erano deteriorati, in quanto era ormai in combutta con l’esercito tedesco. La sorpresa e la reazione che scaturì nel vedere il fratello fu di forte impatto. Mentre stavano dialogando, Pin venne a sapere che costei era in possesso di un’arma da fuoco precedentemente ottenuta da un giovane affiliato alle brigate nere. Da quel momento il personaggio principale capì che si trattava inevitabilmente di Pelle e che la pistola era proprio il modello P38 che lui stesso aveva sottratto al tedesco e che aveva sotterrato al sentiero dei nidi di ragno. Con un gesto feroce di rabbia decise di riprendersi l’arma e, gridando contro la sorella, fuggì disperatamente da casa. Si sentì ancora più solo e amareggiato, costantemente pervaso dalla solitudine e dalla malinconia. Fuggì verso il sentiero dei nidi di ragno, dove incontrò nuovamente Cugino, il quale a causa dei periodi trascorsi in solitaria rappresentava inequivocabilmente la persona che avrebbe potuto compatirlo nel migliore dei modi. Durante la conversazione che intrattennero i due compagni di resistenza partigiana, Pin si rese conto che proprio Cugino era l’unico vero e solo amico rimasto al suo fianco. Cugino disse a Pin che avrebbe voluto intrecciare un legame sentimentale con una giovane donna, dopo tanti mesi passati in montagna. Pin rimase sconvolto dalla confessione precedentemente udita, proprio Cugino che era sempre stato così ferocemente critico nei confronti delle donne ora cercava un reale rapporto in maniera disperata? Anche lui, pensò Pin, era esattamente come tutti gli altri adulti. Parlarono della sorella prostituta, Cugino sembrava assolutamente interessato e si fece immediatamente indicare il luogo nel quale Nera risiedeva. Si allontanò lasciando a Pin il suo mitra e portandosi dietro proprio la pistola del bambino, dicendo che aveva il timore di incontrare dei tedeschi. Dopo pochi minuti Pin sentì degli spari provenienti dalla città vecchia. Ma ecco, invece, che sbucò Cugino. Il bambino fu felice: Cugino gli disse che in fondo ci aveva ripensato, forse non aveva alcuna voglia di consumare un rapporto con una donna. Era probabile, invece, che avesse provveduto ad uccidere la sorella di Pin, complice delle truppe tedesche, ma questo di fatto rimase per sempre incerto, non dimostrato, e Pin non riuscì a collegare gli spari appena sentiti e la rapidità del ritorno di Cugino con la scomparsa e l’ipotesi di omicidio della sorella. Nessuna consapevolezza o sospetto v’era da parte di Pin: fu felice di aver ritrovato una figura adulta che lo proteggesse e lo capisse realmente. I due si tennero per mano e si allontanarono, di notte, in mezzo alle lucciole. Come Padre e Figlio. Pin e Cugino. Da soli.