Alla riscoperta di Oscar Wilde

«Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni». Provocatorio, impertinente, sferzante, satireggiante, sofisticatamente arguto, folgorante, ironico, intelligente, brillante. Esponente dell’estetismo britannico, scrittore, giornalista, poeta e drammaturgo, uniti in perfetto connubio con l’eccessiva ostentazione dell’eleganza connaturatasi nel modo di abbigliarsi, la marcata caratterizzazione dell’individualismo e dell’egocentrismo esasperato e cronico, il netto distacco dalla realtà e il categorico rifiuto della mediocrità tipica della società borghese, assumono un’identità inconfondibile: Oscar Wilde. Trasposizione del movimento letterario, sociale e culturale del cosiddetto «Dandysmo», Wilde incarna perfettamente l’atipicità e la straordinaria essenza rappresentata da Andrea Sperelli, protagonista principale dell’opera «Il Piacere», pubblicata nel 1889 dall’intellettuale italiano Gabriele D’Annunzio. La figura del dandy, nata in Inghilterra grazie all’influsso culturale del romanticismo, viene impersonata da George Byron, diffondendosi successivamente in Europa negli anni del Decadentismo. Esibire la propria «diversità artistica», cercare di imporla ideologicamente e servirsene come trampolino che conferisce un subitaneo slancio verso il successo e la fama è il fine ultimo dell’operazione condotta dal «dandy». In una società corrosa a corrotta sul piano etico e morale, nella quale la mercificazione dell’arte prendeva quotidianamente il sopravvento, poeti come Charles Baudelaire attraverso opere come «La perdita dell’aureola» e «L’albatro» riuscirono a conferire e fornire una chiave interpretativa attraverso la quale si riuscisse a delineare uno scorcio prospettico in grado di comprendere molteplici sfaccettature e tonalità cromatiche. Il capovolgimento che costoro si prefiggevano di attuare adottava forme clamorose riscontrabili nel passo tratto da «Il Piacere» nel quale il personaggio cardine dell’opera ascolta benevolmente i consigli impartiti dal padre: «Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui».
Oscar Wilde nacque a Dublino nel 1854 da Sir William, celebre oculista, e da Jane Francesca Elgee, eccentrica poetessa byroniana, ben nota per il suo salotto culturale. Studiò al Trinity College della sua città e poi a Oxford, al Magdalen College. In quest’ultimo intervallo di tempo si fece notare particolarmente, non solo per il suo impegno negli studi, ma anche per aver pronunciato diverse battute dissacranti durante un esame di teologia, il radicale disprezzo per lo sport e per i suoi buffi e stravaganti pantaloni verdi alla zuava che indossava mentre passeggiava dolcemente impugnando nel palmo della mano un gambo di garofano. Era solo l’inizio di una serie di stravaganze che gli valsero alcune caricature che influenzarono radicalmente e definitivamente il suo stile linguistico, sovente sottoposto all’austero, rigido e bigotto giudizio della critica letteraria a lui contemporanea.
«Per riacquistare la giovinezza basta solo ripeterne le follie», questo aforisma si contrappone perfettamente con l’atteggiamento e il comportamento assunto da Dorian Gray, personaggio principale dell’opera «Il ritratto di Dorian Gray», traduzione letterale del titolo originale «The Picture of Dorian Gray».
L’opera, profondamente attanagliata e stremata dall’estrema espressione del giudizio critico rappresentato dalla censura, venne pubblicata in prima edizione nel 1890, tuttavia il panorama editoriale e letteratura italiana dovrà attendere fino al 1905 prima di ricevere una traduzione completa, coesa, coerente e chiara. Se l’opera potrebbe esser annoverata nel genere letterario costituito dall’impostazione romanzesca, nonostante gli studi condotti sull’opera risulterebbe assai difficile inquadrare con assoluta precisione il sottogenere di appartenenza dell’opera, poiché quest’ultima rivela molteplici entità artistiche coesistenti al suo interno. Aspetti filosofici, gotici e fantastici si mescolano insieme definendo con meticolosità la capacità tecnica e espressiva dell’autore stesso. Ambientato in Inghilterra in una Londra tipicamente vittoriana del XIX secolo pervasa da una mentalità borghese, i protagonisti principali del capolavoro di Wilde sono: Dorian Gray, Lord Henry Wotton e Basil Hallward. Tre personaggi frutto dell’inventio artistica in cerca d’autore.
Dorian Gray, giovane cittadino londinese avente un aspetto corporeo particolarmente affascinante giunge a compiere un atto estremo che sarà la conseguenza finale alla quale bisognerà imputare la tragica e prematura scomparsa del personaggio stesso. Dorian è il pronipote dell’ultimo Lord Kelso mentre la madre era una discendente della famiglia Devereux, si chiamava per l’appunto Lady Margaret Devereux, ma morirono ambedue prima che Dorian ebbe l’età per potersi ricordare di loro. Rendendosi conto dello straordinario privilegio personale di esser in possesso di un fascino caratterizzato da contraddistinguibili tratti fisici ponderati ma al contempo stesso eleganti, armoniosi, fini e lineari fattogli notare dall’amico pittore Basil Hallward, con il quale intratteneva un rapporto confidenziale, si fece regalare un’opera pittorica che lo ritraeva nel pieno della gioventù, la quale lentamente si affievoliva con il lento scorre del tempo insieme alla bellezza naturale connaturata nel corpo dell’individuo utilizzato da Wilde per spiegare un’ottima metafora di Vita. La Vita di Dorina verrà straordinariamente rimodellata e riconfigurata secondo un sistema di pensiero e d’azioni differenti rispetto a quelli precedentemente adottati in seguito all’incontro tra quest’ultimo e Henry Wotton, conosciuto presso l’atelier di Hallward. Discorsi intricati e articolati cattureranno immediatamente l’attenzione del ventenne Dorian, il quale profondamente ammaliato dai concetti espressi da Wotton ne diverrà un apostolo morale e un perfetto seguace delle teorie direttamente da lui sostenute, trovandosi in assoluto accordo con i principi sui quali si fondava la vita di Gray. Divenuto in un secondo tempo l’incarnazione e la trasformazione fisica del modo di pensare dell’intellettuale, Dorian incomincerà a nutrire un risentimento nei confronti dell’opera donatagli dall’amico pittore. Questa, infatti, nonostante lo scorrere inarrestabile del tempo e il susseguirsi delle stagioni inon avrebbe infatti risentito di alcun mutamento, essendo un oggetto privo di anima e corpo. La sua condizione esistenziale subirà, quindi, un colpo ostile per esser accettato senza alcun impianto o rimorso della gioventù: Dorian Gray doveva invecchiare, non riuscendo a non sottoporsi al perenne e ciclico corso della vita che caratterizza un essere immortale. Colpito e folgorato, in preda al panico stipula un «accordo con il demonio» secondo il quale il l’invecchiamento non sarà più un fattore fisico del quale Dorian dovrà preoccuparsi, in quanto verrà completamente affibbiato al dipinto, che incomincia a «far le veci» del suo stesso corpo mortale. Il quadro, tuttavia, incomincerà precocemente a mostrare i segni della decadenza fisica e della corruzione morale del personaggio.
Dopo una tormentata storia d’amore con un’attrice di teatro avente come nome Sybil Vane, disgraziatamente terminata col suicidio della poveretta avvenuto in seguito a uno spettacolo teatrale in cui costei aveva recitato male, Dorian, vedendo che la sua figura nel quadro invecchiava ed assumeva spaventose smorfie tutte le volte in cui commetteva un atto feroce e ingiusto nei confronti del prossimo, come se fosse la rappresentazione della sua coscienza, nascose lestamente il quadro in soffitta, un posto remoto e lontano da occhi indiscreti, dandosi al pieno e completo soddisfacimento di una vita impostata all’insegna e alla continua ricerca del piacere, sicuro che il quadro avrebbe patito le miserie della triste e fatidica sorte al posto suo.
Non rivelerà a nessuno né l’esistenza del quadro né il relativo invecchiamento quotidiano che l’opera subirà, fuorché a Hallward, che successivamente ucciderà in preda alla follia fomentata dalle critiche del pittore, ritenuto causa dei suoi mali in quanto creatore dell’opera. Di tanto in tanto, tuttavia, si recherà segretamente nella soffitta per controllare e schernire il suo ritratto che invecchia e si imbruttisce giorno dopo giorno, creandogli rimorsi, rimpianti, angosce, nostalgie e timori finché, stanco del peso che il ritratto gli fa sentire, nella speranza di liberarsi dalla vita malvagia che stava conducendo, lacera il quadro con lo stesso corpo contundente con il quale aveva ucciso Hallward.
Alla fine del progetto editoriale i servi trovano Dorian morto con un pugnale conficcato nel cuore, irriconoscibile e precocemente avvizzito, ai piedi del ritratto, ritornato meravigliosamente giovane e bello. Durante la scrittura dell’opera assume notevole e rilevante entità la caratterizzazione psicologica dei personaggi.
Oscar Wilde in una lettera ad un suo amico, Ralph Payne, scrisse: «Basil Hallward è quello che credo di essere, Henry Wotton è come il mondo mi dipinge e Dorian Gray è quello che mi piacerebbe essere».
Potremmo generalizzare il contenuto dell’opera nella seguente espressione pronunciata da Wilde contenuta all’interno della Prefazione al Romanzo: «La vita morale dell’uomo è il materiale dell’artista, ma la moralità dell’arte consiste nell’uso perfetto di uno strumento imperfetto».
La moralità dell’opera identifica a pieno titolo il pensiero dell’autore, resosi forse conto dello stile di vita personale insito nella propria personalità: quella estetica potrebbe esser considerata come un’esperienza che non sempre si rivela giusta e retta. La visione della vita come arte implica infatti da un lato, la ricerca del piacere, ovvero l’edonismo, dall’altro uno stile di vita disinibito e dissoluto che porta allo sfacelo etico e morale e, nel caso di Dorian Gray, al crimine.
Rimane, dunque, definito il pensiero dell’autore: «La vita imita l’arte molto più di quanto l’arte non imiti la vita».