Altro che 2,4%, deficit al 6% per investire in ambiente
È di pochi giorni fa la relazione dell’«IPCC- Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico» secondo cui resterebbero circa 12 anni per provare a mantenersi entro quel tetto di +1,5 °C di riscaldamento globale menzionato nel testo degli Accordi di Parigi, testo ovviamente mai ascoltato. Dopodiché, anche soltanto mezzo grado di aumento delle temperature comporterà conseguenze devastanti per i ghiacci, i raccolti e gli ecosistemi, a cominciare da inondazioni, siccità, perdita di specie e povertà diffusa. Il rapporto smentisce studi precedenti che parlavano di un «assestamento e graduale diminuzione delle temperature a livello globale». Infatti, si parla di una situazione al limite del sostenibile che se non affrontata subito e con interventi straordinari non potrà più essere sostenuta «campa cavallo».
In tutto ciò la politica non è di aiuto, Trump infatti ha lasciato intendere più volte che il global warming non è attribuibile all’uomo. Passerebbe con qualche risatina di sberleffo se una dichiarazione del genere la facesse il vicino di casa con la bottiglia in mano, ma se a farla è il Presidente degli Stati Uniti la situazione diventa un pochino più grave, tanto da impattare in maniera significativa e reale a livello mondiale.
In Italia abbiamo il «governo del cambiamento». Ciò significa che fra pochissimi anni non dovremo più preoccuparci del surriscaldamento globale, giusto? Ah no, scusate! La verità è che il vero leader dell’esecutivo non è né Salvini né Di Maio, ma il contratto di governo. Giusto o sbagliato che sia, intendiamoci. D’altronde, per mettere assieme due forze politiche così diverse serviva uno strumento di tenuta, un programma condiviso, coi suoi pregi, contraddizioni e difetti.
In effetti, se andiamo a controllare il programma di governo, disponibile a tutti online, si troveranno diverse pagine dedicate ad ambiente e sostenibilità ambientale. Purtroppo, però, complici i soldi risicati per portare a termine il Def «con l’aggravio di dover pure scongiurare l’aumento dell’iva lasciato da quelli che si auto-definiscono competenti», complice la smania di portare tutti a casa un pezzo del programma più sentito dalle rispettive basi, alcuni temi come quello della tutela ambientale si stanno lasciando da parte. Se da un lato c’è la meritoria «rivoluzione della plastica» portata avanti dal ministro dell’ambiente Sergio Costa dall’altro lato c’è poco o nulla; per non parlare delle proposte delle opposizioni, il vuoto cosmico.
Le frasi magiche di questi giorni sono «non ci sono abbastanza soldi -non dobbiamo fare deficit -il debito è il male» frasi sconclusionate di per sé, quello che conta è come si spendono i soldi non questo, perché se si investono bene con ritorni potenziali ad alto moltiplicatore si guadagna. Ecco perché la sfida di oggi dovrebbe essere quella di ribaltare completamente il paradigma di questi anni sull’austerity e concentrarsi sui problemi reali con una visione a lungo termine di paese.
Facciamolo ‘sto deficit, facciamolo bene, 5%, 6% le percentuali non contano, conta la credibilità e il progetto di paese che hai. Si vada davanti all’unione Europea e gli si presenti un programma di incentivi per 30 miliardi alle rinnovabili e taglio delle fonti fossili. In potenziale si avrebbero molti posti di lavoro in più «un miliardo investito nel rinnovabile porta 36 volte più posti di lavoro dello stesso miliardo investito in fossile» e si sfiderebbe l’UE giocando in casa.
Ah, già, la propaganda vince su tutto e l’odio verso i nemici anche, quindi il governo porterà a casa le sue manovre più «elettorali» anche in vista delle Europee e le opposizioni, comprese le leadership europee morenti, continueranno ad andare contro a prescindere e in qualsiasi caso, senza proporre nulla e gridando anche al fascismo, qua e là per riempire i buchi della loro inettitudine.
Sono Emanuele, classe ’95, studente di Filosofia, appassionato lettore sia di libri che di articoli di giornale trattanti attualità e politica.