Anche il Governo Conte vuole metter mano alla Costituzione

Il Governo Conte II, dopo varie peripezie, è entrato definitivamente a regime. Dietro lo scudo della parola «Cambiamento», usata quantomeno in modo discutibile da entrambi gli esecutivi visti finora in questa strana legislatura, notiamo un aspetto che, volente o nolente, ha fatto da trait d’union tra le due fasi che hanno attraversato il Parlamento: le riforme costituzionali. Tema noto, suo malgrado, anche all’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi, ora Senatore.

Proprio ricordando l’esperienza di quest’ultimo, già nel Governo gialloverde la strategia è stata intelligentemente cambiata. Non più proposta di riforma unica, dovendo scegliere tra il pacchetto completo o il nulla di fatto, ma centralità del Parlamento e proposte separate, su cui potranno svolgersi, eventualmente, referendum separati o con quesiti multipli. La principale portata avanti finora è la riduzione dei Parlamentari, di un terzo dei componenti, distribuiti proporzionalmente tra le due camere e voluta fortemente dal Movimento 5 Stelle: approvata in via definitiva nei rami del Parlamento, è partita la raccolta firme tra i componenti delle Camere per richiedere la consultazione popolare. Resta quindi da vedere se viene raggiunto il numero di un quinto dei firmatari per arrivare al referendum, visto che a livello di raccolta firme tra gli elettori non si vedono movimenti degni di attenzione, probabilmente perché si teme l’effetto boomerang.

A fronte di questa, che ha vissuto l’ultimo passaggio dopo la crisi di Governo, il Partito Democratico ha chiesto dei contrappesi: oltre alla legge elettorale, che va adattata se non addirittura ripensata totalmente sulla nuova distribuzione, ci son diverse proposte in ballo. Dopo varie prese di posizione a favore del voto ai sedicenni (Letta, Grillo, Salvini) sembra che il Parlamento si accontenti di unificare l’età per diventare elettori attivi, portando a 18 anche il limite minimo del Senato. Potrebbe essere la prima a essere discussa e approvata. Un’altra modifica poco rilevante ma annosa potrebbe riguardare il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, più noto come CNEL. Per l’ennesima volta ne viene proposta l’abolizione e, essendo slegata dalle altre modifiche ha serie possibilità di vedersi attuata: la commissione Affari Costituzionali ha già dato il via libera, ora spetta al Senato esaminarla.

Un po’ più complesso è, invece, il taglio dei delegati regionali che ricordiamo avere, tra le altre cose, la possibilità di votare per l’elezione del Presidente della Repubblica. Dovrebbero quindi vedere il loro gruppo ridotto di un terzo, anche se, più che l’uniformare la norma rispetto a quella dei Parlamentari, l’impressione è che l’attuale maggioranza voglia tutelarsi in vista del 2022. Infatti, con la Lega che sta conquistando regioni a mani basse, ridurre l’influenza delle stesse per l’elezione del prossimo Capo dello Stato potrebbe far comodo ai giallorossi.

Resta depositato inoltre il disegno di legge costituzionale per il referendum propositivo, presente nel programma del Movimento e che era compreso anche nel referendum renziano, anche se in forma diversa. Non è quindi esclusa una futura convergenza. Ultima menzione, invece, per l’abolizione del pareggio di bilancio, all’articolo 81, introdotta ancora dal Governo Monti: dopo le flebili discussioni nate nel governo gialloverde sembra uscita definitivamente dall’agenda.