Antibiotici: se continuiamo così, diventeranno inefficaci
La resistenza agli antibiotici è un problema ormai noto a tutta la comunità scientifica, eppure troppo spesso viene sottovalutato o addirittura ignorato. La resistenza agli antibiotici è un fenomeno che ha avuto inizio già nel secolo scorso. Il primo antibiotico, la penicillina, è stato scoperto da Alexander Fleming nel 1928 ma soltanto dagli anni Cinquanta in poi tali farmaci hanno avuto una distribuzione su larga scala e sono entrati nella pratica clinica quotidiana. Fino agli anni Settanta sono state scoperte numerose altre molecole e sono state introdotte nuove classi di antibiotici, ma purtroppo da quel momento in poi non sono stati più trovati efficaci principi attivi. Avere nuovi meccanismi d’azione contro i batteri permetterebbe di contrastare lo sviluppo di resistenze: la ricerca infatti ha investito moltissimo in questo ambito, purtroppo però con scarsi risultati.
Il problema della resistenza agli antibiotici è dovuto alla capacità dei batteri di evolversi e adattarsi a sopravvivere anche in presenza di certe molecole. Gli antibiotici sono sostanze in grado di bloccare alcune funzioni vitali dei batteri o di lederne la parete in modo da causarne la morte: alcuni, per esempio, bloccano la sintesi proteica, altri la replicazione del DNA. I batteri hanno però una via d’uscita: possono sviluppare enzimi che degradano la molecola antibiotica oppure diventare impermeabili ad essa. Queste capacità aggiuntive sono il risultato di mutazioni genetiche vantaggiose che vengono selezionate: i batteri si replicano in modo estremamente rapido, il che rende altamente probabile l’accumularsi di alterazioni genetiche. Tali mutazioni, quando garantiscono di aggirare l’ostacolo costituito dalla molecola, permettono al nuovo ceppo batterico di proliferare senza difficoltà, mentre i microrganismi privi di questa capacità moriranno o non si replicheranno.
Il problema si pone nel momento in cui i batteri sono colpiti da un dosaggio dannoso ma non letale di antibiotico, che permette loro di sopravvivere a stento ma comunque lascia la possibilità di mutare. Se si somministra invece una dose corretta completamente battericida, i microrganismi non avranno tempo di replicarsi e adattarsi. Alexander Fleming stesso aveva previsto questa problematica: nel suo discorso in occasione del premio Nobel nel 1945, dichiarò: «potrebbe venire un momento in cui la penicillina sia acquistabile da chiunque nei negozi. In questo caso ci sarebbe il rischio che un uomo ignorante possa facilmente sottodosare il farmaco e, esponendo i propri microbi a quantità non letali del farmaco, renderli resistenti».
Pur essendo, dunque, un problema presente già da tempo, negli ultimi anni le statistiche stanno diventando preoccupanti. Un recente report realizzato dal CDC (Centers for Disease Control and Prevention) mostra dati di gran lunga più allarmanti di quanto ci si potrebbe immaginare. Negli Stati Uniti, quest’anno, si sono verificate quasi 3 milioni di infezioni da microrganismi resistenti agli antibiotici e ben 35 mila persone sono morte a causa di tali infezioni. Un batterio estremamente preoccupante è il Clostridium Difficile, un batterio che causa diarrea e colite e si diffonde facilmente in ambiente ospedaliero; il C. Difficile causa più di 200 mila infezioni all’anno e fino a 13 mila morti. Come questo, sono catalogati molti altri batteri e funghi resistenti alle attuali terapie. È dunque fondamentale diffondere queste informazioni in modo da educare la popolazione a non abusare delle terapie antibiotiche e affidarsi esclusivamente all’indicazione del personale medico per un’eventuale assunzione mirata. Se si continua con il trend degli ultimi tempi, è altamente probabile che tra qualche decina d’anni si torni a non avere una cura efficace per le malattie infettive di natura batterica.
Sono una studentessa della facoltà di Medicina e Chirurgia di Torino.
Scrivo principalmente di argomenti scientifici, tentando di divulgare ciò che più mi appassiona.