Arising Africans: 2 continenti, 2 identità
rising Africans è un gruppo di giovanissimi afroitaliani e italiani che ho avuto il piacere di incontrare e che mi hanno aperto gli occhi su molte cose o, quantomeno, mi hanno fatto cambiare l’angolo visuale e il modo che avevo di vedere certi aspetti. È nato l’anno scorso, d’estate: i ragazzi, pur essendo persone diverse e con diversi interessi, avevano un obiettivo comune e mettersi insieme, cominciando dal piccolo, è sembrato il modo più efficace per raggiungerlo: trasmettere un’immagine non positiva ma veritiera dell’Africa e rivolgersi ai giovani africani e afroitaliani per dare loro il senso di awareness, cioè la consapevolezza dei proprio diritti, e di empowerment, la sicurezza di se stessi e la comprensione della società nella quale si vive rispetto ai conflitti e alle dinamiche di tutti i giorni.
Avere una doppia identità e due origini differenti è una caratteristica che accomuna molte persone al mondo ma che non sembra essere sempre affrontata in modo corretto. In senso politico, dalle istituzioni che quasi mai garantiscono il riconoscimento di due identità; in senso sociale, in quanto l’opinione pubblica spesso segue l’esempio delle istituzioni, non concependo come possibile il fatto di appartenere in modo uguale a due culture diverse; ma anche in senso personale, perché nella coscienza degli afroitaliani stessi spesso manca quel sentimento di orgoglio di appartenere a due culture, di consapevolezza della ricchezza che ne deriva e delle numerose strade che si aprono. È anche di questo che si occupano i ragazzi di Arising Africans: cercare di far comprendere ai giovani la bellezza di avere due culture, due paesi, due origini e cercare di farlo il prima possibile. Molti di loro l’hanno compreso recentemente, spesso proprio grazie al gruppo, e non desiderano altro che diffondere la conoscenza, quella giusta e non stereotipata, di un continente vastissimo e ricchissimo.
«Sono in Italia da quando avevo 8 anni, ho fatto tutte le scuole qua. A Pordenone non mi era mai passato per la mente di essere considerata straniera proprio perché ero cresciuta con i ragazzi italiani e tutti quanti mi conoscevano perché Pordenone è una città piccola. Venendo a Padova mi sono accorta che la realtà è diversa e questo ha suscitato in me molte domande e di conseguenza la voglia di fare qualcosa, per far sì che il diritto di decidere a quale cultura o società voglio appartenere o a quale voglio essere associata sia una cosa di mia competenza, e non una cosa automatica. Mi piacerebbe che non mi si negasse né la mia parte italiana né quella africana. Io sono afroitaliana, perché ho sia le radici africane sia quelle della cultura europea e italiana, e questo purtroppo in vari contesti viene negato». (Anabell)
Perché è così difficile per le persone pensare che si possa avere due identità?
«Perché, almeno nella realtà italiana, c’è ancora una mentalità molto chiusa, e da un lato siamo anche noi afroitaliani che non vogliamo farci riconoscere sotto un certo punto di vista, perché è comodo per ognuno starsene nel proprio piccolo, sapere che ai propri amici si va bene così. Mentre io penso che sia arrivato il momento di spingere per ottenere qualcosa di più, ottenere questo riconoscimento tramite la cultura e l’informazione per rompere questo muro». (Anabell)
«C’è anche un altro aspetto da considerare. Se sei afroitaliano, concetto che esiste da sempre, spesso ti viene negata la parte italiana, e se anche qualcuno potesse sorvolare su questo aspetto, c’è da considerare il fatto che ti assegnano la parte “africana” sbagliata. Se non volete considerarmi italiano, almeno assegnatemi l’Africa vera, non quella che viene presentata dai media e dalla tv in cui c’è solo povertà, guerra, “bambini con le mosche” e malattie». (Emmanuel)
E qual è l’Africa vera?
«Ci sarebbero moltissime cose da dire per rispondere a questa domanda. Intanto l’Africa è un continente, non un paese: sono 55 mega realtà e dentro ognuna ce ne sono tante altre. Io vengo dal Congo e sono nato in Germania, il Congo è 7 volte l’Italia, 2 milioni di chilometri quadrati, 482 lingue, non dialetti, quindi altrettanti gruppi etnici diversi. Solo per il Congo ci vorrebbero anni per parlarne, figuriamoci l’Africa intera. Tra di noi siamo diversi, veniamo da città e paesi diversi ma abbiamo in comune il desiderio di cambiare questa visione stereotipata del nostro continente. Per questo abbiamo anche aderito alla campagna di Redani (Rete della Diaspora degli Africani Neri d’Italia) su “Anche le immagini uccidono”, anche perché esiste una convenzione internazionale che vieta l’uso di immagini di bambini in povertà per campagne realizzate per raccolta fondi». (Emmanuel)
Qual è lo stereotipo più sbagliato che invece le persone continuano a considerare veritiero?
«Io ho un esempio personale da farti. Sono siciliana ma mia madre è originaria della Sierra Leone. Il mio ex ragazzo una volta mentre eravamo con altri amici parlando dell’Africa ha detto: “Tu sei fortunata perché tuo padre ha preso te e tua madre e ti ha portato qui, se no saresti lì morta di fame”, quando in realtà mia mamma stava meglio in Africa che qui. Oppure quando racconto che mio nonno in Sierra Leone era una persona rispettabilissima perché parte della polizia, mi accorgo che le persone spesso neanche pensano che ci possa essere la polizia. O ancora, la prima cosa a cui si pensa è la povertà, lo stereotipo principale. Ovvio che c’è la povertà ma c’è anche tutta un’altra parte che viene taciuta: ci sono persone intraprendenti, gente che lavora, gente educata che va a scuola. Infatti quella sera con gli amici mi era venuta molta rabbia a sentire il mio ex ragazzo che diceva così e non ho potuto neanche ribattere in modo adeguato sul momento perché eravamo con altre persone». (Valentina)
Quando hai capito veramente di avere due origini da coltivare?
«Sono nata in Sierra Leone e sono arrivata in Italia quando avevo 6 mesi quindi della Sierra Leone so solo tramite i racconti dei miei genitori. Mia madre è molto “inglese”, mio padre, che è siciliano, avendo vissuto 25 anni in Africa è più africano di mia madre! Con Arising Africans la cosa che ci terrei a realizzare sarebbe dare una rappresentanza ai giovani, perché finché ero in Sicilia non mi ero preoccupata di coltivare il mio lato africano, ero lì e non mi ponevo il problema, avevo amici italiani e basta. Quando sono venuta a Padova invece ho conosciuto molti ragazzi afroitaliani, mi sono rispecchiata in loro e mi sono sentita molto più africana. È tutta un’altra cosa avere due origini, e approfondire entrambe le identità, ti senti più ricca, più realizzata, in rapporto alla tua famiglia ma anche a ragazzi come te. Quello che secondo me è importante è dare rappresentanza alla afroitalianità per i ragazzi, per fare in modo che non si considerino solo italiani ma che riescano anche a coltivare questa africanità il prima possibile, non come me a 21 anni». (Valentina)
«Infatti utilizziamo la awareness per far capire in primis agli africani stessi di valorizzare l’Africa che è in loro, perché spesso ti rendi conto che vengono bombardati dai media da immagini sbagliate e stereotipate, e loro ovviamente non essendo mai stati in Africa sono pieni di pregiudizi e per questo tendono a considerarsi solo occidentali ed è sbagliato, è una mancanza nei loro stessi confronti. L’Africa fa parte di loro, dovrebbero alzarsi e prendere parte a questa identità». (Anabell)
«Io mi ricordo che negli anni ’90 tutti i personaggi più fighi erano afro, Michael Jordan, Denzel Washington, l’Europa è stata bombardata da un flusso di immagini positive dell’Africa. Nonostante il razzismo, in quegli anni quando eri afro eri figo, e quindi le persone hanno avuto un motivo per essere fiere della loro appartenenza, riuscivano ad affrontare l’identità con un altro stato d’animo. È questo che noi vorremmo che cambiasse: bisogna che ci sia da un lato il rispetto degli altri nei confronti degli afro, ma dall’altro anche la consapevolezza di chi si è e del proprio valore da parte degli afro stessi. Come prova di questa mentalità che fatica ad esserci c’è l’esempio di quel video in cui si chiede ai bambini afro di indicare tra due bambole, una bianca e una nera, qual è la più bella, quella con cui vorrebbero giocare e quella che li attrae: indicano tutti la bianca. Quando gli si chiede qual è la bambola a cui loro assomigliano di più indicano la nera. E i bambini, nella loro assoluta sincerità, alla domanda “Perché è più bella quella bambola?” rispondono tranquillamente: “Perché è bianca”». (Emmanuel)
Come fate a diffondere le vostre idee?
«Abbiamo un blog e una pagina Facebook in cui siamo seguiti. Io scrivo articoli su personaggi africani che hanno combattuto per l’Africa, non personaggi solo del passato ma anche del presente che stanno portando valore al nome dell’Africa e che hanno dedicato la loro vita a questa idea di awareness, anche per arricchire l’elenco di personaggi africani già noti. Nella lista di tutti c’è Nelson Mandela e… Nelson Mandela». (Anabell)
Siete mai stati nel vostro paese d’origine o vorreste andarci in futuro?
«Io ci sono stata un po’ di volte. Vengo dal Ghana, attualmente non ci vado da sei anni per problemi anche di risorse, e vorrei tanto tornarci, spero dopo la magistrale. Sono nata in provincia di Vicenza, sono cresciuta e mi sono sempre sentita un po’ africana anche se non sono nata in Africa, e dagli africani stessi non vengo considerata africana, perché sì, c’è anche il problema opposto! Quello che mi ha spinto ad entrare in Arising è che arrivata qua ho incontrato persone che mi hanno fatto capire che ho anche un’identità italiana che dovrei riconoscere perché sono fatta anche di questo; sto capendo anche l’importanza di trovare uno spazio, che Arising mi sta dando, in cui posso avere più conoscenza di me stessa sia dalla parte italiana sia dalla parte africana, perché prima non avevo spazi in cui mi riconoscessero come una persona con una doppia identità. Spesso non ero italiana perché si vedeva in me solo la parte africana, ma poi non ero neanche africana perché non sono nata lì. Arising mi sta dando questo spazio in cui sono tutte e due e mi posso considerare tutte e due». (Angela)
Moltissime persone al mondo hanno due identità, perché è più difficile per gli afroitaliani o gli afroeuropei farsela riconoscere?
«Secondo me quando si parla di doppia identità una cosa fondamentale è il contesto territoriale di appartenenza. Parlando della mia esperienza personale, io sono nata e cresciuta per 18 anni a Taranto e quando sono nata la mia famiglia e io eravamo le uniche persone di origine africana presenti in quel territorio, eravamo quindi la novità e non c’era una cultura che inglobasse la doppia identità. Questa cosa ha inciso tanto perché per 18 anni ho frequentato persone italiane, non mi sono posta il problema di cosa significasse avere anche una parte africana e, nel momento in cui mi veniva sottolineato il fatto che parlavo italiano ma avevo la pelle scura, snobbavo il problema perché non avevo gli strumenti necessari per comprendere questa mia caratteristica di avere due origini. Tutto è successo una volta arrivata a Padova, tutte quelle cose che avevo tralasciato si sono amplificate in un processo di transizione che mi ha portato a chiedermi chi sono, cosa voglio essere. Poi ho capito che è inutile impegnarsi ad essere 100% italiana o 100% ruandese, perché semplicemente essendo il risultato di un prodotto posso benissimo essere 50 e 50». (Sara)