Bastano delle pallavoliste seminude per uccidere il femminismo

Che la parità dei sessi sia un’utopia e anche una bugia che tanti continuano ostinatamente a considerare tappa raggiunta è cosa risaputa. Tutti noi siamo sempre a contatto con stereotipi che proprio non vogliono lasciare la nostra società e cultura, e che per questo si radicano nella nostra mente e hanno quindi difficoltà a lasciare libera anche quella.
Le piccole, ma costanti e pungenti, differenze di trattamento tra uomini e donne sono presenti in tutti i paesi, e costanti durante tutte le fasi di una vita. Dal «non vestirti in modo provocante» al «davvero ti piace il calcio?», dal «il tuo orologio biologico sta ticchettando» al «a tuo marito non dà fastidio che guadagni più di lui?»: la gamma di domande sessiste, unite ai commenti che oggi è così facile lanciare a caso sui social network come pietre, è davvero ampia, ma forse non supera ancora tutte quelle situazioni in cui non servono le parole per farci sentire a disagio, ma è sufficiente uno sguardo, un fischio per strada di presunto apprezzamento ma che altro non fa che riportarci al medioevo.
È anche vero che tantissime sono ormai le campagne, gli eventi, le organizzazioni che difendono pubblicamente i diritti delle donne e che ne chiedono il rispetto: dalla fondazione del movimento delle Nazioni Unite HeforShe di Emma Watson, in cui si chiede alla popolazione, uomini compresi, di aumentare la consapevolezza su un tema che di fatto riguarda tutti, alla meno «ufficiale» campagna di Dior che nell’ultima fashion week ha fatto sfilare le modelle con una semplice t-shirt con la scritta «We should all be feminist», maglietta che ha spopolato tra i social network e che si spera sia diventata di moda per i giusti motivi. Forse inserire il tema nell’ambito della moda è stata una giusta mossa per rendere il messaggio più «popolare» visto che spesso, lo stesso termine «femminista» è associato ingiustamente a connotazioni negative, deviandone il vero senso. Ma questo è solo un esempio, perché numerosissimi sono anche i video o le foto accompagnate da storie che aprono gli occhi e sensibilizzano sull’uso inappropriato dei commenti sui social.
Perché per quanto si possa cercare di diffondere un messaggio positivo, di progresso, di umanità, finché dal basso non si ricevono le spinte giuste per cambiare una cultura, il messaggio rimane fine a sé stesso. Le grandi campagne umanitarie e anche pubblicitarie o le belle frasi sulle magliette non servono più se le singole persone, prigioniere di una mente troppo chiusa per potersi permettere di progredire, non riescono a fare proprio un concetto che tanto andrebbe diffuso. E questi individui, portavoce di come anche la nostra cultura non si è ancora dimostrata pronta a lasciarsi alle spalle certe «bassezze», danno il loro meglio sui social media, dietro ad uno schermo dove si sentono protetti e dove invece sono solo vigliacchi.
Lo scorso 8 aprile la squadra femminile di pallavolo dell’Usd Altair 1963 di Vicenza ha conquistato la promozione in serie D facendo il salto dalla Prima Divisione. Un traguardo sperato, sudato, e che è stato il risultato di grande «passione, serietà e impegno», come si legge sulla pagina ufficiale della squadra.
Alla vittoria e alla gioia, nell’umore festivo, è seguita una foto post partita che immortalava il momento e che poteva essere, in modo simpatico, il ricordo del fatto che l’impegno paga. La scelta delle ragazze è stata quella di immortalarsi seminude: il reggiseno sportivo e solo una palla da pallavolo a coprire la zona più intima. Pubblicata la foto, l’internet ci è andato a nozze, e ancora di più quei vigliacchi da computer già citati. Le belle iniziative a favore della parità dei sessi, sono svanite nella frazione di tempo che serve per scrivere un commento idiota. Tra i numerosissimi commenti di congratulazioni e auguri per la vittoria, infatti, non potevano mancare le frasi sessiste, offensive, irrispettose e completamente fuori luogo. La foto, e implicitamente le ragazze, sono state definite volgari, bisognose di attenzioni, si è parlato di scandalo, di una bravata adolescenziale «da perdonare», addirittura di porno, della necessità di pubblicizzare la promozione.
Qualcuno tra i commenti chiede spiegazioni sul senso della foto, perché «non lo capisco e non era necessario», oppure perchè non è chiaro il messaggio (la vittoria infatti passa inosservata di fronte a due gambe scoperte… perchè alla fine quello si vede). Ci sono poi le mamme che «mia figlia gioca a pallavolo e io non vorrei mai che facesse una cosa così», quelli che «la prossima volta fuori anche le tette» e infine eccolo lì, il commento più stupido e offensivo di tutti, fatto tra l’altro proprio da una donna: «Dopo non venite a rompere le scatole con assedio morale, proposte indecenti, tentativi di violenza, e altre cose del genere. Quando conviene tutte femministe, altrimenti tutte poco di buono» e aggiunge: «Che schifo». Onestamente è anche difficile decidere se sono peggiori i commenti di offese e di critica nei confronti della foto, o di quelli che volendo scherzare e sdrammatizzare incitano alla promozione in serie C «a cazzo duro» senza rendersi conto che così non fanno altro che cadere ancora più in basso.
Sicuramente non serve spendere delle righe per sottolineare il fatto che foto di uomini pallavolisti seminudi ce ne sono migliaia, e che alla loro versione sono seguite soltanto risate e commenti sul gesto goliardico. Non serve puntualizzare sul fatto che nel commentare in modo sessista la foto, certe persone non solo abbiano (ri)dato prova di come sia facile dare alle donne delle poco di buono sulla base del nulla, ma hanno anche fatto dimenticare ai più il motivo di fondo per cui è stata scattata la foto: una vittoria guadagnata e meritata. Non è neanche necessario riflettere su come i soliti moralisti e bigotti sui temi come questo siano magari poi i primi a essere ossessionati dal nudo e dal porno, né serve sfociare nei banali (ma a questo punto tutt’altro che popolari) discorsi su come sia meschino e ignorante giustificare certe parole, e in casi estremi certe violenze, soltanto perché «Se fanno così se la cercano».
Perché al di là di questo specifico caso che non è neanche giusto che venga troppo ingigantito, la mentalità che spinge a scrivere «dopo non lamentatevi delle proposte indecenti» è la stessa che porta a giustificare una violenza solo perché la gonna era troppo corta o l’atteggiamento troppo sicuro. Per questo paragone, forse, si fa un salto troppo grande, ma se si guarda al quadro generale e alla cultura che sottende a tutte queste situazioni, dalle più «piccole» come i commenti, alle più gravi come le violenze, è una cultura che si dimostra arretrata, ignorante e ancora non pronta ad accogliere quei progressi che invece sarebbero figli del tempo che stiamo vivendo. Perché se è vero che le leggi, e qualsiasi tipo di direttiva viene in un certo senso imposta dall’alto, è anche vero che a spingere per quelle leggi ci deve essere una società e quindi una cultura che sappia in che direzione andare. E questa sicuramente è la direzione sbagliata. La consolazione è che, se pur la strada sia ancora lunga, tra i commenti a quella foto ce ne sono stati tantissimi in difesa delle ragazze, a riprova che c’è ancora (o già) qualcuno capace di distinguere una foto scherzosa da un vero scandalo, sapere cioè quando è il momento di ridere e finirla là, o discuterne davvero. Tra queste persone, i dirigenti dell’Altair che chiudono la vicenda su Facebook scrivendo: «Il risultato del gesto è apparso superiore all’immensa impresa delle ragazze» e poi «la società è per questo solidale con la squadra e ritiene che strumentalizzare questo gesto significhi non dare merito all’unica cosa che conta davvero, cioè il risultato ottenuto».