Benvenuti nell’era del fascismo economico

Risulta un gioco da ragazzi, se dotati di un minimo di empatia, rimanere sconcertati da violenza e discriminazione, specialmente ai danni delle fasce sociali più fragili. E anche assimilare certe gesta deprecabili alla condotta fascista non è poi così arduo: il modello ci è ben chiaro in testa, collegarlo a un fatto reale non è un’operazione complicata.

D’altro canto, ciò che stiamo subendo in questi anni, nell’inconsapevolezza dei più, si caratterizza per la difficoltà di individuazione e inserimento in una precisa categoria storico-sociologica. Eppure, potremmo denominare la nostra epoca come fascismo economico. Da parte di chi detiene questo potere totalitario sono state deposte armi e munizioni tradizionali, non si spara più. Tanto meno, si evita di promulgare leggi platealmente contrarie all’interesse della collettività, le quali potrebbero rappresentare un limpido segnale di ciò che si sta consumando. I diritti sociali vengono erosi progressivamente, a mano a mano, dalle radici, mentre la chioma dell’albero ancora viene curata, potata e ne viene decantata la bellezza.

La guerra ai popoli sovrani viene combattuta a colpi di imposizione di vincoli di bilancio, sottrazione di sovranità economico-monetaria, differenziale di rendimento tra titoli di stato, depotenziamento del compito delle banche centrali.
Esiste però qualcosa di ancora più subdolo, poiché si insinua nella cultura, nella concezione della conoscenza che ognuno di noi possiede; si tratta della percezione che l’economia sia una scienza univoca e uniforme, che esista una sola e unica concezione economica. Potete indovinare quale sia l’unica dottrina ammessa e considerata fonte della verità incontrovertibile: il neoliberismo.

L’evidenza di questa convinzione dilagante che vuole essere indotta e che già è stata assorbita da molti è la presenza settimanale di Carlo Cottarelli negli studi di Rai Uno, ospite fisso della trasmissione di Fabio Fazio della domenica sera, senza alcun contraddittorio, senza un collega di altra fazione che controbatta alle sue affermazioni. Facendo leva sui titoli altisonanti e le esperienze lavorative prestigiose che il dottor Cottarelli può vantare (ad esempio, un master alla London School of Economics e la collaborazione con il Fondo Monetario Internazionale), nonché sul suo ruolo istituzionale di osservatore dei conti pubblici, il messaggio che si vuol trasmettere è che egli sia un autorevole e super partes dispensatore di analisi dei dati macroeconomici, inconfutabile, espressione di una scienza esatta e non suscettibile di valutazioni e opinioni. La verità è, invece, ben lontana: Cottarelli è sì un economista dalla carriera brillante, ma non è che un esponente di una determinata scuola economica che non rappresenta assolutamente l’intero panorama dottrinale. I suoi studi e i suoi impieghi parlano chiaro: egli ha appreso e fatto sue le teorie del liberismo, dunque egli rappresenta solo uno dei vari modi di leggere la realtà economica e di delineare ricette vincenti per la crescita del Paese.

Imporre le sue visioni come scevre da soggettività è la prova della volontà di uniformare il pensiero economico: è giusto, è attendibile, è la vera conoscenza solo ciò che proviene dalle fila neoliberiste; tutte le altre teorie, una su tutte quella keynesiana, sono inaccettabili fandonie che ci porterebbero alla catastrofe, ergo non meritano spazio. Fateci caso: si è giunti a un tale punto di manipolazione che la stragrande maggioranza di noi non si rende conto del fatto che dare la parola a un solo economista ogni settimana è come ascoltare le ragioni esclusivamente di un tale partito politico: il pluralismo e la par condicio sono completamente compromessi.

Insomma, se abbattere le differenze di pensiero è un caposaldo del fascismo, allora comunicare in questo modo è un sintomo di esso: silenzioso, quasi impercettibile, ma si tratta di fascismo. Fascismo economico.