Biologia, la teoria dei giochi e i playboy in genetica
Siamo abituati a pensare subito alla genetica quando analizziamo i tratti prevalenti all’interno di un insieme di individui, ma ci sono fattori che trascendono dalla semplice ereditarietà. Per esempio, compaiono spesso gruppi in competizione all’interno della stessa specie (pensiamo a due branchi di lupi che si ostacolano nella caccia). Terminata la lotta, i vincitori occuperanno il territorio scacciando i rivali, e, incrociandosi fra di loro, facilmente finiranno per assomigliarsi parecchio.
Si tratta di differenze «intraspecifiche» che si sviluppano per isolamento di un numero ristretto di animali, facendo nascere una sottospecie. Nel momento in cui compaiono, però, cosa determina il prevalere dell’una o dell’altra in un determinato posto? Possiamo pensare all’influenza dell’ambiente, ma la teoria dei giochi ci fornisce un modello più articolato. Proviene dalla branca della matematica che analizza le interazioni tra individui in situazioni di competizione per definire che guadagno potrebbero ottenere, e tra i vari studiosi che l’hanno enunciata uno dei più recenti è John Nash. Forse qualcuno ricorderà questo nome grazie al film A beautiful mind e a Russel Crowe (in foto), che lo impersonò ricalcando lo stereotipo del genio isolato nel proprio mondo. Così estraniato, in effetti, da applicare in una scena questa teoria, per comprendere come i suoi amici potessero approcciare un gruppo di ragazze con successo.
Il ragionamento pone le ragazze come premi del «gioco», e considera che se i concorrenti, ossia i ragazzi, agissero tutti in vista dello stesso obiettivo (la stessa ragazza) finirebbero per ostacolarsi e nessuno riuscirebbe, letteralmente, a conquistarlo. La soluzione è che ciascuno si ponga un obiettivo diverso, ossia scelga una ragazza che non interessa agli altri, in modo che ogni partecipante al gioco porti a casa un premio, senza rivalità. Bisogna per forza scendere a patti, o giocare secondo un altro schema cambierebbe le cose? I biologi del comportamento hanno applicato il modello alla lucertola Uta stasburiana, che comprende 3 sottospecie: animali dal collo blu, colli arancio e colli gialli. Non sono semplici colorazioni decorative, ogni gruppo ha una strategia particolare all’interno del «gioco». I blu si concentrano uniti in piccole aree per essere sempre numerosi in caso di attacco, gli arancioni si distribuiscono su aree più vaste e sono molto aggressivi ma solitari, i gialli tendono a uno stile di vita nascosto per evitare scontri con gli altri. Diverse strategie, in vista di un unico fine, procurarsi cibo e spazio: ma chi vince? Tutti e nessuno in effetti, perché le tre si equivalgono: una situazione che è nota come «equilibrio di Nash». Sarà un ciclo: le lucertole blu potranno contrastare la presenza delle gialle essendo numerose e stanandole facilmente, ma mentre contrastano queste le arancioni possono attaccarle e costringerle alla fuga. Gli arancioni, non agendo in branco, facilmente perderanno risorse in favore delle gialle, che senza le blu potranno nascondersi più facilmente. Al prevalere delle gialle, di nuovo strada spianata per i colli blu. Semplificando, è il classico schema sasso-carta-forbice, ogni scelta soccombe di fronte a una delle due ma può avere la meglio sull’altra. Spezzare il circolo vizioso richiederebbe che le 3 sottospecie smettessero di agire solo per il proprio fine, dividendosi le risorse, come i ragazzi dell’esempio precedente; ma è un’opzione che anche noi fatichiamo ad accettare.
Laureata in Biologia all’Università di Padova, mi occupo di didattica ambientale al WWF. Attualmente studio per la magistrale.