Blockchain e videogiochi: giocare per guadagnare
Nel corso dell’ultimo mese, le mosse di alcuni grandi attori del panorama digitale, con in testa il cambio di ragione sociale di Facebook in Meta, hanno portato all’attenzione del grande pubblico un ecosistema economico e tecnologico in forte ascesa: blockchain e la sua applicazione nelle DApp (applicazioni decentralizzate).
Esse, rispetto alle applicazioni tradizionali, presentano una sostanziale differenza: l’assenza di un server centralizzato che ne assicuri il funzionamento. Ciò risulta un enorme vantaggio in termini di sicurezza, in quanto la localizzazione diffusa del programma lo rende incredibilmente più resistente a tentativi di hacking, a cui i server centralizzati, specie se vetusti come quelli utilizzati dalla P.A. italiana, sono sensibilissimi. Si registra altresì un vantaggio a livello di protezione dei dati personali, in quanto per accedere a tali app basta inserire le chiavi crittografiche corrispondenti alla propria utenza blockchain. Ciò non significa agire in completo anonimato, pressoché impossibile nell’Internet contemporaneo, ma rende la tracciabilità tra singoli utenti molto meno immediata.
Inoltre, il sistema assicura la certezza della proprietà degli asset acquisiti all’utente. Questa caratteristica ha permesso la nascita degli NFT (Non Fungible Token, ovvero oggetti digitali non replicabili), i quali sono già da qualche anno oggetto di aste e compravendite su mercati di criptovalute e marketplace appositi.
La tecnologia blockchain, gli NFT e il settore di mercato cripto a essi collegato sono attivi da qualche anno e, al momento, coinvolgono qualche centinaio di migliaia di persone in tutto il mondo. Buona parte degli esperimenti di sfruttamento degli NFT riguarda i videogiochi, settore attiguo per eccellenza all’innovazione digitale, ma si stanno lentamente affacciando a questa finestra anche il mondo della musica, dell’editoria e dell’arte, allettati dalla possibilità di assestare un colpo importante alla pirateria.
In che cosa consistono i videogame decentralizzati, dunque? In origine, si trattava di semplici liste di NFT collezionabili, scambiabili o vendibili come le figurine. Tuttavia, alcuni progetti come The Sandbox e Axie Infinity hanno introdotto delle dinamiche più interattive, avviando lo sviluppo di un modello di gioco chiamato play to earn (gioca per guadagnare). In pratica, attraverso meccaniche di gioco sviluppate ad hoc, come l’esplorazione di una data mappa, sarà possibile rinvenire NFT, accumulabili e rivendibili attraverso il mercato blockchain. Proprio su questo aspetto hanno messo gli occhi i dirigenti di Ubisoft, una delle principali case di produzione di videogiochi a livello mondiale, i quali si sono detti fortemente interessati a implementare un sistema del genere nei propri titoli futuri. Notizia che non sarà piaciuta particolarmente a Valve, azienda proprietaria del software di distribuzione Steam, la quale ha bandito i giochi contenenti NFT lo scorso mese, a vantaggio dalla concorrente Epic Games, che li ha accolti dichiarando di credere nel potenziale evolutivo del nuovo approccio al gaming.
Un approccio che, sia chiaro, non prospetta possibilità di guadagno dal nulla, in quanto tanto l’acquisizione dei primi asset di NFT per poter fruire del gioco, quanto alcune azioni all’interno dello stesso, prevedono un costo in criptovalute, recuperabile nel medio termine. A conti fatti, si tratta di un modo alternativo d’investimento sulla realizzazione di un prodotto, che in questa fase embrionale comporta ovviamente un fattore di rischio consistente, in quanto si lega a studi di sviluppo indipendenti.
Tuttavia, che realtà come Ubisoft se ne interessino è indicativo del fatto che il play to earn, tra qualche anno, potrebbe affiancare o soppiantare le dubbiamente etiche micro transazioni presenti nei videogiochi. Ciò, con tutta probabilità, rappresenterebbe un antipasto del futuro che Facebook-Meta ha in serbo per l’economia digitale in senso lato.
Classe 1993, volevo fare il giornalista ma non ho la lingua abbastanza svelta.
Mi arrabatto tra servire pietanze, scrivere e leggere romanzi, consumare bottiglie di vino, crisi esistenziali, riflessioni filosofiche di cui non frega niente a nessuno e criptovalute.
Amo il paradosso, dunque non posso essere più felice di stare al mondo.
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