Bohemian Rhapsody: l’epoca dei Queen vista da un giovane di oggi
L’altra sera con un gruppo di amici si è deciso di andare a vedere Bohemian Rhapsody, il film sulla vita di Freddie Mercury. Tutti noi, seppur nella nostra ignoranza di ventenni, avevamo in mente qualche canzone di Mercury, ma nessuno lo conosceva davvero, era uno di quei miti che di cui ogni tanto si sente parlare come di una delle leggende intramontabili della musica, ma di cui poi non si sa davvero molto.
Il film inizia con le origini di Freddie, il suo rapporto tribolato con la famiglia di origini Parsi e l’entrata nella band. Subito si scopre il carattere da leader eccentrico che, oltre alla sua voce resa magnifica dai quattro incisivi cartooneschi, è il suo vero tratto distintivo che lo eleva al di sopra dei suoi compagni Brian, Roger e John; nonostante ciò, quest’ultimi non risultano meri comprimari nel film, ma personalità ben distinte, compito non facile quando si ha un protagonista come Freddie. Sarà l’atmosfera, l’ascesa di una piccola band quasi dal nulla, il tour in America, il successo improvviso, le vicende personali di Freddie o tutte queste cose assieme che mi fecero entrare in uno spaccato di realtà fra la fine degli anni 60’ e l’inizio dei 90’ e ci stetti due orette piacevolissime. Mi immaginai come dovesse essere vivere in quegli anni circondato da tali leggende della musica come i Queen ma anche come i Rolling Stones, i Beatles, i Pink Floyd gli AC/DC e tantissimi altri. Finito il film e iniziati i titoli di coda la maggioranza delle persone in sala non si volevano più alzare sotto le note di Don’t stop me now, We will rock you, Somebody to love e tante altre, nonostante il mega-concertone finale che ci aveva regalato uno spettacolo live di almeno un quarto d’ora. Anche noi, inutile dirlo, non ci alzammo e stemmo fino alla fine.
Usciti col sorriso, l’amarezza della dura realtà ci piombò addosso solo dopo. Entrammo in un locale carino in stile medievale per mangiare qualcosa e ad un tratto per stonare con quella serata partì MTV con la musica che va di moda oggi, la classica musica fatta da ragazzini ricchi che hanno fatto successo a furia di basi riciclate da altre canzoni e sponsorizzazioni. Mi immaginai il contrasto fra le due epoche: una nella quale Mercury provava e riprovava nello studio con la sua band una singola nota per settimane e una nella quale, in qualche pomeriggio, si fa una canzone che non dice nulla, uguale a tante altre, da dare in pasto alle disgraziate generazioni di oggi. Con la pelle d’oca arrivai a casa e andai a letto con questo pensiero: anche se non avrei potuto, per ovvie ragioni, partecipare ai loro concerti live, il giorno dopo mi sarei creato la mia playlist su Spotify con le canzoni dei Queen, per consolarmi e rifugiarmi in un’epoca musicale che sento più mia.
Sono Emanuele, classe ’95, studente di Filosofia, appassionato lettore sia di libri che di articoli di giornale trattanti attualità e politica.