Brexit: quali sono gli effetti economici?
Dovrebbero chiamarla la giornata nera quella del 24 giugno, quando in Gran Bretagna ha vinto il fronte del Leave con il 51,9%, dimostrando così la volontà dei cittadini di uscire dall’Unione europea.
In una sola giornata l’Europa ha bruciato circa 637 miliardi di euro, le borse sono crollate, la sterlina è colata a picco e oggi ad una settimana circa dal Brexit si è delineata una situazione di incertezza che porta tutti noi cittadini europei a chiederci: e ora che succederà?
Già nella mattina successiva al voto, quando ormai era chiaro che aveva vinto il Leave, al di là di tutte le aspettative create dagli opinion poll che davano in vantaggio il Remain, la sterlina ha subito un calo dell’8% sul dollaro, chiudendo a 1,36 e superando perfino il crollo subito dalla moneta inglese nel 1985. Inoltre le borse sono piombate in un profondo rosso, compresa Piazza Affari che ha chiuso a -12,48%, l’agenzia di rating Mood’s ha tagliato da «stabile» a «negativo» l’outlook del debito britannico e lo spread, ovvero la differenza di rendimento tra Btp e Bund tedeschi, è schizzato alle stelle fino a raggiungere i 191 punti base per poi riabbassarsi e ripiegare a 165 punti.
Come se ciò non bastasse, anche dal punto di vista politico la situazione sembra incerta. L’attuale presidente Cameron, che si è battuto per il remain durante tutta la campagna elettorale, ha annunciato le sue dimissioni subito dopo la pubblicazione dei risultati, decidendo di concedere l’onore (ma soprattutto l’onere) della pianificazione dell’uscita dall’Ue al suo successore. Inoltre Scozia e Irlanda del Nord, paesi in cui la cittadinanza ha votato in maniera compatta per il remain, vorrebbero rimanere nell’Unione e minacciano una possibile indipendenza e il conseguente distaccamento dal Regno Unito.
Davanti a uno scenario così complicato i dubbi e le incertezze sono molte, a partire dal fatto che sarà molto complesso definire i futuri rapporti tra Gran Bretagna e Ue. La situazione dei negoziati che si stanno delineando è critica, perché mentre il parlamento europeo preme affinché si avviino prima possibile le pratiche per il divorzio con la nazione anglosassone, in base all’articolo 50 del trattato di Lisbona, la Gran Bretagna e in primis Cameron hanno due anni di tempo a partire dal voto di Westminster per chiudere le trattative.
L’Ue invece vorrebbe agire in fretta per non perdere potere contrattuale e per non rischiare che si indebolisca la posizione europea davanti ad una scissione che, se si rivelasse fruttuosa, potrebbe essere motivo di imitazione per molte altre, e l’inizio così di un progressivo disgregamento dell’istituzione comunitaria.
Un altro problema da non sottovalutare è la posizione di mercato delle aziende inglesi che potrebbero trovarsi isolate, con tasse doganali e difficoltà di export come lo era per tutte le nazioni europee prima che si formasse l’Area economica europea, ovvero l’Eea. Infatti se la Gran Bretagna volesse avere d’ora in poi le stesse condizioni commerciali attuali dovrebbe continuare a far parte dell’Eea senza potervi più avere potere decisionale e probabilmente i contributi che dovrebbe versare per restare all’interno dell’area commerciale dell’unione potrebbero essere gli stessi, se non superiori agli attuali.
Un’altra domanda che molti cittadini europei si pongono, e che forse è quella che preme di più tra le persone è: come saranno gestiti ora gli spostamenti tra turisti e lavoratori europei e la Gran Bretagna? Ci sarà bisogno del visto e del passaporto come prima che vi fosse l’Ue? Saranno ancora possibili l’Erasmus e l’assistenza sanitaria gratuita di cui ogni cittadino europeo gode? La risposta che le trattative daranno a questi quesiti sarà importante perché, fino al giorno d’oggi molte aziende hanno potuto fare le transizioni con i paesi membri dell’Unione Europea senza dover prestare attenzione alla regolazione del paese in questione, ma solamente rispettando la sua legislazione. Se la maggior parte delle imprese si trovassero costrette a spostare i propri investimenti probabilmente il costo dell’export salirebbe vertiginosamente.
Tutto ciò senza contare di come la Gran Bretagna gestirà l’arrivo dei prossimi migranti, ora che non sarà più vincolata dai trattati europei.
La situazione che si sta delineando è molto incerta e pericolosa, soprattutto se non venisse gestita in modo corretto. Probabilmente molti si potrebbero chiedere: ma a noi alla fin fine cosa comporta di diverso? Quali saranno le conseguenze? Se gli inglesi decidessero di riammettere i dazi e riportare l’obbligo del passaporto, probabilmente sarebbe più difficile per tutti noi avere a che fare con la Gran Bretagna, sia per un viaggio di piacere, che per un acquisto online, sia per dei possibili rapporti aziendali con la nazione anglosassone. Infatti persino Mario Draghi, governatore della Bce, ha espresso nei giorni scorsi la sua preoccupazione per il Brexit, dicendo che potrebbe pesare fino allo 0,5% sul Pil della zona euro, rallentando così la crescita dell’Ue, e che probabilmente l’uscita inglese potrebbe innescare svalutazioni competitive.
Di fronte ad una tale incertezza si spera solamente che le cose si risolvano per il meglio, innanzitutto perché alla fine saremo noi cittadini a pagarne le conseguenze.
Laureata all’Università di Padova Ingegneria Chimica e dei Materiali e laureata magistrale in Ingegneria Chimica (Susteinable Technologies and Biotechnologies for Energy and Materials) presso l’Almamater Studiorum Università di Bologna.
Scrivo per La Voce che Stecca dal 16 luglio 2015 e su queste pagine mi occupo di cultura, musica e sport, ma soprattutto di scienza, la mia passione.