Buchi neri: si conoscerà il loro suono
Ultimamente vi è un protagonista nello spazio che sta fornendo molte nuove informazioni e continua ad essere parte di nuovi colpi di scena: il buco nero.
In alcuni articoli precedenti, si era già parlato di come i ricercatori erano stati in grado di «fotografare» un buco nero e di come, grazie alle nuove scoperte, sia possibile provare l’esistenza delle onde gravitazionali.
Secondo il nuovo studio perpetrato dalla collaborazione di due istituti americani, il Massachusetts Institute of Technology e il California Institute of Technology, è stato possibile caratterizzare il suono emesso da un buco nero dopo la sua creazione.
Durante la rilevazione dello scontro tra due buchi neri, avvenuta già nel 2015, gli scienziati hanno deciso di analizzare il comportamento del nuovo buco nero che è sorto subito dopo l’impatto, e sono riusciti così ad isolare il suono di tale corpo celeste.
Infatti, sebbene fino ad ora tale impresa sembrasse impossibile, i ricercatori sono riusciti a captare le onde gravitazionale provocate dall’oscillazione che il nuovo corpo celeste genera nel breve intervallo che intercorre subito dopo la nascita del «vortice nero».
L’impresa comprende varie insidie, tra le quali vi è l’esigua entità del segnale e la brevissima durata del fenomeno. Tuttavia, la frequenza emessa in modo distinto durante questi specifici istanti, chiamati ringdown, ha apportato nuove informazioni per la comprensione dell’universo e ha fornito delle informazioni che si pensava fossero non captabili.
In questo caso, i ricercatori sono riusciti a ricavare solamente due informazioni: la massa e il momento angolare del buco nero, confermando la teoria secondo la quale qualsiasi altra informazione viene persa non appena viene varcato il «confine» del buco nero, chiamato in fisica orizzonte degli eventi.
Ma la ricerca non si è fermata a questo importante risultato; infatti, secondo le ultimi studi svolti dai fisici Jakub Scholtz e James Unwin hanno constatato che probabilmente quello che viene chiamato pianeta nove non è in realtà un pianeta, bensì un buco nero.
Sebbene infatti tale corpo celeste sia impossibile da osservare, ha la fama di essere stato osservato sin dalla fine del diciannovesimo secolo, dove gli astronomi hanno preso atto della sua presenza a causa delle orbite descritte dai pianeti che lo affiancano, come quelle «disegnate» da Nettuno. Il pianeta dovrebbe essere situato a ben 45 miliardi di chilometri e, anche se «invisibile», condiziona le orbite di molti asteroidi presenti nella fascia di Kuiper.
La spiegazione definitiva potrebbe essere stata portata da Scholtz e Unwin, secondo i quali è probabile che tale pianeta non sia affatto un pianeta ma un buco nero, e non un corpo celeste qualsiasi, bensì un buco nero primordiale. Secondo la ricerca e le conoscenze teoriche, dovrebbero esistere alcuni buchi neri molto piccoli che provengono da uno degli avvenimenti più remoti: la creazione dell’Universo.
Dunque, ciò sta a significare che tale astro non risulta essere stato generato a partire da un collasso di una stella, ma dalla materia densa formatasi nell’alba dei tempi, che raggruppandosi ha generato alcuni buchi neri piccoli quanto cinque o dieci masse terrestri e molto più neri di un pianeta.
Ovviamente la strada da percorrere è ancora lunga, ma è emozionante constatare ogni giorno di più la validità delle teorie di Einstein, ed è interessante notare quanto poco ancora sappiamo dell’Universo e quanto ancora ci rimane da scoprire.
Laureata all’Università di Padova Ingegneria Chimica e dei Materiali e laureata magistrale in Ingegneria Chimica (Susteinable Technologies and Biotechnologies for Energy and Materials) presso l’Almamater Studiorum Università di Bologna.
Scrivo per La Voce che Stecca dal 16 luglio 2015 e su queste pagine mi occupo di cultura, musica e sport, ma soprattutto di scienza, la mia passione.