Carceri: un problema tutto da risolvere
Di recente ha attirato l’attenzione dei media nazionali una singolare vicenda che ha interessato la provincia di Salerno: a tre mesi di distanza dalla chiusura del carcere di Sala Consilina, l’istituto è ancora sotto la sorveglianza di 14 agenti, attivi 24 ore su 24, pagati per far la guardia al nulla. Il fatto più curioso è che il Ministero ha voluto chiudere il carcere, nonostante le proteste del sindaco, proprio per ridurre gli sprechi, e il risultato, per ora, è uno spreco di certo peggiore e ingiustificato, se si considera che in Italia non sono poche le carceri con carenze d’organico. Questa vicenda non è solo l’ennesimo esempio di goffo tentativo di risparmiare, ma risolleva anche una questione sempre molto attuale ma a cui spesso non si dedica sufficiente attenzione e riflessione: la condizione delle carceri italiane.
L’istituto di Sala Consilina era infatti uno dei pochi a garantire ai detenuti, se non condizioni di vita ideali, perlomeno accettabili: secondo il rapporto di Antigone del 2014, la situazione era «meno problematica rispetto ad altri istituti penitenziari», e ciò era dovuto principalmente al numero ridotto di detenuti, appena una ventina. Questi avevano la possibilità di trascorrere in media otto ore al giorno fuori dalla cella, e di passare del tempo con i figli nel giardino; potevano chiedere di sottoporsi a visite mediche, e partecipare a corsi quali la lavorazione dell’argilla, giardinaggio, teatro. Negli ultimi anni non si era registrato nessuno dei cosiddetti «eventi critici» caratteristici del carcere, come suicidi, evasioni o scioperi della fame, eccetto un caso di autolesionismo.
Sembrano tutte cose scontate, il minimo indispensabile per salvare la dignità di un detenuto. Eppure, nella maggior parte dei casi la situazione è ben peggiore, e ciò rappresenta un problema grave non solo per i detenuti ma anche per la società stessa e per i cittadini liberi.
Per comprendere questo, è necessario innanzitutto fare chiarezza su quale sia il reale scopo del carcere. L’opinione pubblica spesso vede la detenzione come una punizione, una vendetta da parte della società civile nei confronti di chi non ha voluto riconoscere le sue leggi. Al male si risponde con il male, occhio per occhio, perché è «giusto» così.
Altri, meno spietati e vendicativi, vedono nel carcere una garanzia di sicurezza, uno spazio nel quale sono confinate le persone inutili o pericolose, i reietti, i rifiuti della società: non importa cosa fanno o come vivono, l’importante è che se ne stiano là e non possano fare del male a nessun cittadino «normale».
Quest’ultimo punto di vista è in parte fondato: l’obiettivo del carcere certamente è la sicurezza, ma ciò che conta è il modo in cui viene perseguita. Il detenuto non dovrebbe venire annullato ed escluso, al contrario dovrebbe essere aiutato a comprendere il suo errore e a reinserirsi nella società civile. Il senso del carcere sta tutto nel recupero: se volessimo solo liberarci di qualcuno, sarebbe molto più pratico e meno dispendioso ricorrere alla pena di morte.
Il sistema penitenziario, tuttavia, sembra tendere, più che a rieducare, a produrre esso stesso nuovi o peggiori criminali. Vediamo perché.
Condizioni di vita. Anche se negli ultimi anni la situazione è migliorata, il sovraffollamento delle carceri è ancora una drammatica realtà: la capienza ufficiale degli istituti penitenziari del paese è di 50mila posti, dei quali una parte è inutilizzabile, mentre il numero di detenuti è sensibilmente maggiore. Per di più, ai detenuti non sono garantite prestazioni sanitarie adeguate, che scarseggiano sia in termini di qualità che di quantità; a ciò vanno aggiunte condizioni igieniche approssimative e promiscuità tra sani e malati. Inoltre, molti detenuti soffrono di gravi patologie psichiatriche che le carceri non hanno i mezzi per curare.
Violenza. Gli «eventi critici» non sono affatto rari, in particolare i suicidi, che rappresentano più di un terzo delle cause di morte in carcere. Anche se sono pochi i casi che riescono a ottenere l’attenzione pubblica, non mancano nemmeno torture, pestaggi, violenze sessuali e omicidi, non solo tra i detenuti ma anche da parte degli agenti di polizia penitenziaria. Inutile sottolineare che un simile ambiente può avere una profonda influenza sulla personalità dei detenuti: anche una persona finita in carcere per una sciocchezza qui riceve una vera e propria educazione al crimine.
Affetti. Ai detenuti sono concesse solo poche occasioni di colloquio con i propri familiari; ciò rappresenta una minaccia per l’integrità non solo del carcerato, ma anche e soprattutto degli eventuali figli: per la crescita intellettuale e sociale di un bambino è fondamentale una vita familiare soddisfacente e buone relazioni con i genitori. Per questo l’Onu raccomanda che il bambino possa «mantenere con [il genitore detenuto] dei contatti appropriati», che significa anche non escludere del tutto il genitore dalla rete sociale in cui il bambino è coinvolto; ma il nostro ordinamento non permette ai detenuti di esercitare pienamente il proprio ruolo di genitori. Questo può diventare fonte di problematiche che possono emergere nel minore anche a distanza di tempo, come disadattamento e aggressività. In breve, anziché proteggere i cittadini insegnando a chi ha commesso un reato a vivere secondo giustizia, il carcere genera ulteriori minacce, sviluppando comportamenti socialmente pericolosi anche in persone innocenti.
Diritti. I beni materiali di cui viene spogliato un carcerato sono solo un pallido riflesso delle cose meno concrete ma più preziose che gli vengono tolte: l’individualità, la capacità di pensare e agire in modo autonomo, i valori, gli stimoli, i diritti; questi ultimi sulla carta gli vengono riconosciuti, ma i fatti sono ben diversi. Il detenuto è completamente passivo e deresponsabilizzato, e questo favorisce il recidivismo: difficilmente, una volta uscito, sarà in grado di trovare il proprio posto nella società e facilmente cadrà ancora una volta nella trappola del crimine.
Rieducazione. È difficile credere che una persona possa uscire dal carcere e tornare da subito a vivere normalmente: è necessario un percorso graduale di reinserimento in società, che nella maggior parte dei casi non viene offerto. La soluzione ideale potrebbero essere misure da prendere non solo nell’ultimo periodo di detenzione, ma come vera e propria alternativa al carcere, come l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà. Ricorrere a queste misure potrebbe anche risolvere in parte il problema del sovraffollamento.
Non è facile immaginare una valida alternativa all’attuale sistema penitenziario che sia in grado di trasformare i criminali in cittadini modello; di certo, però, migliorare la situazione attuale, tutelare diritti e dignità dei detenuti, inserirli in un ambiente più sicuro, sono obiettivi importanti e non così difficili da raggiungere, e per questo dobbiamo imporci perché vengano perseguiti: non per buonismo, non per favorire i detenuti, ma per il bene della società civile nel suo complesso.