Caro professore, per studiare ho lavorato in fabbrica
Pubblichiamo la lettera di Gerarda Monaco al suo docente di Storia e Filosofia del liceo, a proposito dell’esperienza che la nostra collaboratrice ha avuto lavorando in fabbrica nei mesi scorsi. Abbiamo deciso di non rendere noto il nome dell’azienda per cui Gerarda ha lavorato, convinti che il discorso possa pretendere di essere quasi universale.
Caro professore,
per prima cosa, le chiedo scusa per non averla più aggiornata sulla mia esperienza in fabbrica, come invece le avevo promesso a settembre.
Si è trattato di un periodo lavorativo piuttosto breve, complice anche una faringo-laringite acuta che mi ha costretta a casa per più di dieci giorni. Nonostante il tempo esiguo trascorso tra le macchine, il rumore e l’odore a tratti nauseabondo (ma sicuramente c’è di peggio al mondo), penso di aver colto alcuni aspetti importanti della vita in fabbrica.
Innanzitutto, una totale prostrazione al padrone, al limite del culto. È veramente difficile riuscire a trovare qualcuno che, lucido e intellettualmente onesto, metta in discussione le politiche della direzione o muova qualche critica. La maggior parte dei lavoratori prova verso il datore di lavoro un sentimento di estrema gratitudine ingiustificata, come se fossero un disinteressato benefattore. I dipendenti, gli operai in primis, non si rendono conto che la grandezza di questa industria sta nel loro gomito del tennista, nelle loro occhiaie; non capiscono che senza la loro manodopera questa azienda sarebbe molto molto modesta.
Inoltre, resi disperati e famelici dall’attuale situazione economica, si adattano alle nuove leggi del mercato del lavoro senza battere ciglio, senza interrogarsi sulla durata microscopica dei contratti, ma ingurgitando voracemente ogni giornata in più che viene loro offerta, ogni straordinario conquistato nonostante siano due settimane che non si riposano, non ragionando sul fatto che, una volta divenuti non più utili, verranno lasciati a casa senza troppi convenevoli.
Pochi colgono quanto è innaturale il turno di notte, il danno che esso provoca all’organismo umano, le conseguenze che esso comporta nei rapporti con i propri familiari, ma si concentrano su quei due spiccioli che ottengono in più, non capendo che, per qualche euro, stanno vendendo la loro salute, il loro benessere fisico e mentale. Tuttavia, quelli che ne sono consapevoli lo accettano rassegnati e si astengono dal tentare anche solo di smuovere le coscienze altrui su questo tema. Così, restano asserviti alla volontà padronale, mentre in Germania, dove probabilmente i lavoratori si sono ribellati, forse complice la legislazione, questa azienda produce solo il mattino e il pomeriggio.
Questo è tutto. Un caro saluto.
Classe 1995, laureata in giurisprudenza.
Il diritto e la politica sono il mio pane quotidiano, la mia croce e delizia.
Vi rassicuro: le frasi fatte solo nelle informazioni biografiche.