Casale Monferrato: non lasciateci soli
Abitare a Casale Monferrato significa crescere con alcune parole in testa: Eternit, giustizia, amianto e mesotelioma. Le diverse opinioni che ognuno di noi ha sull’argomento convergono inevitabilmente su una cosa: tutti vogliamo giustizia.
Chi abita lontano ha solo sentito parlare della nostra condanna, magari sa qualcosa di approssimativo, ma in verità nessuno ne parla e nessuno si informa davvero. Chi come me vive a Casale Monferrato, per quanto cerchi di non pensarci sa benissimo che da un momento all’altro arriverà, come un fulmine a ciel sereno. Toccherà te o il tuo vicino, magari ti sfiorerà di pochi millimetri, sufficienti per pensare di averla scampata; magari scapperai portandolo comunque dentro di te. Potremmo già custodirlo dentro di noi, questo amico che un giorno verrà a farci visita senza preavviso: hai respirato, respiri e continuerai a respirare l’ossigeno della morte. Cresci riflettendo su questo tema in modo razionale e concreto, ti rendi conto che almeno uno degli amici con cui cresci morirà a causa di quella malattia balorda che ti conduce all’aldilà in modo lento e doloroso. Soffocare non è certo il modo migliore per andarsene.
Vivendo a Casale, ognuno di noi matura la consapevolezza di cosa voglia dire morire per un mesotelioma, eppure restiamo in questa città chiedendo quella stessa giustizia che lo Stato ci ha negato il 19 novembre chiudendo il processo per raggiunta prescrizione. Lottiamo da anni per cercare di bonificare, di uscire da questo disastro ambientale doloso e, soprattutto, permanente. Ci può essere una prescrizione per un danno permanente?
Ogni abitante di Casale ha almeno una vittima (solitamente anche di più) di amianto in famiglia o nella cerchia dei propri amici più cari. A me sta per capitare: una delle persone a cui tengo di più se ne sta per andare, lasciando una moglie e un figlio piccolo. Come mi sento dinanzi a questo dramma? Impotente. Non posso fare nulla per aiutarlo, posso solo dirgli belle parole che sicuramente scaldano il cuore ma che nel concreto non servono a niente.
Si può solo aspettare, sapendo che arriverà un giorno non troppo lontano in cui dentro di te si formerà un dolore sottile che diventerà sempre più forte finché non avrai più lacrime per piangere, come sta succedendo a Romana Pavesi che ha perso cinque parenti per l’amianto.
Nella sentenza i giudici hanno detto che Schmidheiny era a conoscenza degli effetti della polvere e della morte che avrebbe portato fra i lavoratori. Per questo motivo sarebbe colpevole. Ma poiché la fabbrica è stata chiusa nel 1986, il reato cade in prescrizione. Eppure io ascoltando quelle parole ho trovato due incongruenze: la prima è nella parola «chiudere» perché la fabbrica è stata abbandonata con cancelli sfondati e tonnellate di amianto all’interno, tanto che ad ogni folata di vento milioni di granelli di quella polvere si alzano per posarsi ovunque in città; la seconda è sulla data da cui si iniziano a contare gli anni per la prescrizione, ovvero dal 1986, anno in cui la fabbrica è stata lasciata al suo destino, nonostante le ultime vittime (a cui ne seguiranno tantissime altre) siano morte la settimana scorsa.
Sono nata nel 1993 e ho più probabilità di morire per mesotelioma rispetto a chi è nato prima di me perché il picco di morti è stato calcolato fra il 2020 e il 2025 e il periodo di incubazione della malattia è di circa 30 anni. Provo sdegno e vergogna per il nostro paese (con la p minuscola), provo terrore per quello che accadrà a me e ai miei cari, provo impotenza e dispiacere per le vittime e le loro famiglie; ma nonostante questo combatterò questa lotta anche nei prossimi anni, perché non posso lasciare la mia città ad un futuro senza giustizia. Per questo ho deciso di unirmi ad alcune associazioni che lottano affinché Casale Monferrato non sia la città dell’amianto ma la città che lotta contro l’amianto.
L’unica cosa che vorrei chiedere è di non lasciarci soli: le istituzioni, i giornalisti, le forze armate e tutti i cittadini devono aiutarci in una battaglia che non riguarda solo noi, ma tutto il mondo. Questo perché l’amianto è dappertutto. In Brasile, per esempio, viene ancora prodotto nonostante sia dichiarato nocivo in gran parte del mondo.
È vero che il 19 novembre 2014 non ci è stata data la giustizia che meritavamo, ma non abbiamo perso perché tutto il mondo ci ha guardato e sicuramente, come molti hanno dimostrato, è vicino a noi in questa battaglia. Speriamo che tutti i nostri sforzi non siano vani e che servano anche a migliorare le condizioni degli operai nelle fabbriche.
Sarò positiva: Romana Pavesi ieri durante l’assemblea dell’AFeVA (Associazione Familiari e Vittime dell’Amianto) ha chiesto a tutti di esserlo e io non voglio essere da meno. Sono certa che prima della sua morte, verrà presentato a Schmidheiny il conto di tutti i danni che ha fatto alle famiglie di Casale e all’ambiente. Concludo citando Gandhi: «C’è una corte più alta di qualsiasi corte di giustizia: è la corte della coscienza».
Francesca Pusateri
Articoli non firmati o scritti da persone esterne al blog
sottosceivo ogni tua parola, io nata nel ’77 ho paura anche se a Casale non vivo più da un po’, ma i miei sono ancora li… Io ho paura per me e per le persone a cui voglio bene..
Essere condannati in nome di un diritto che non contempla giustizia è un orrore…
Un abbraccio
Sandra
La ringrazio molto, un abbraccio anche a lei e ai suoi cari.
Francesca