Chernobyl, come tornerà a vivere?
Quando dissipata la nube tossica ricomparve il sole sopra Chernobyl, la desolazione regnava sovrana: nessuna voce, nessun verso animale, assoluto silenzio in una città fantasma. Forse solo qualche scarafaggio iniziò ad aggirarsi per la zona nei primi tempi, grazie alla resistenza propria di questi insetti. I casi di cancro delle zone contigue erano diventati innumerevoli e solo trent’anni dopo brevi visite senza robuste protezioni hanno iniziato a diventare sicure. Non che prima della loro messa in regola nessuno ci avesse provato: varie sono state le escursioni illegali perpetuate da ladri e guide improvvisate. Non si può negare l’impatto che esercita la vista di un posto simile: viene da chiedersi se sarà mai possibile ripristinare l’equilibrio che c’era un tempo.
Come decontaminare il tutto? La risposta, in sperimentazione già da anni, è… Fiori. Più nello specifico, i girasoli.
Nella concezione comune non hanno la fama di piante resistenti, dato il loro aspetto innocente; sono ornamentali e apprezzate per la loro capacità di ruotare il bocciolo verso la luce, che ha coniato il loro stesso nome. Tuttavia hanno anche una seconda dote, meno evidente, che inizia a livello delle radici e si dispiega all’interno dei tessuti della pianta, senza dare sospetti.
Sui terreni contaminati possono sopravvivere due tipi di piante: le tolleranti e le accumulatrici. Le prime si limitano a saturare le loro radici con la sostanza tossica presente. Le seconde, a cui appartiene anche Helianthus annuus, le assorbono e le trasportano lungo fusto e foglie, dove vengono stoccate per essere usate come deterrente contro i predatori. Il girasole in particolare, mentre varie piante accumulatrici si limitano a estrarre nichel o arsenico, è in grado di accumulare anche scorie radioattive, uranio e cesio impoverito, senza che la pianta ne soffra. A livello delle foglie soprattutto sono presenti delle zone di compartimentazione dei veleni assorbiti.
La sperimentazione per decontaminare suoli e acque grazie all’impiego di specie vegetali avanza di giorno in giorno: si parla di fitoestrazione per i suoli e di rizoestrazione per i corpi idrici (per quest’ultima si usano piante cresciute in soluzione idroponica). Fondamentale è che le piante destinate a questo impiego crescano su suoli incontaminati per realizzare al massimo la loro capacità estrattiva: non si tratta infatti di una capacità indotta man mano dal suolo ma costitutiva della pianta, già scritta a livello genetico.
Chernobyl è stata la zona di prova, ma ora anche a Fukushima stanno sorgendo distese di girasoli per depurare il suolo. Uno dei problemi principali dell’esperimento è lo smaltimento successivo della biomassa dei fiori, dato che la carica radioattiva permane al loro interno. Pare però che tramite l’uso di batteri decompositori sia possibile ridurre la massa limitando al minimo le scorie derivate dal processo, fino all’1% della materia organica originale. Un giardino magico, senza dubbio.
Laureata in Biologia all’Università di Padova, mi occupo di didattica ambientale al WWF. Attualmente studio per la magistrale.