Cina: il mercato 4.0 «semi-aperto» agli europei
Da ormai diverso tempo si poteva capire quale sarebbe stato l’obiettivo a lungo termine di Pechino: passare da un’economia low cost a una un po’ più «raffinata», con una struttura produttiva qualitativamente più elevata. CM2025 (China Manufacturing 2025) è la sigla del programma con cui la Cina intende creare 10 campioni nazionali in altrettanti settori high-tech della manifattura, nell’ambito di una corsa sempre più competitiva verso l’automazione dell’industria e la raffinazione delle competenze tecnologiche.
Cosa vuol dire questo? Semplicemente copiare il programma europeo «Industria 4.0». Per noi europei (e italiani) il piano, come sottolineato da un report di oltre 70 pagine preparato dalla Camera di Commercio EU in Cina, è un’arma a doppio taglio. La Cina non potrà fare tutto da sola e per questo genere di transizione avrà bisogno di aprire le porte agli stranieri, dunque, è possibile che le aziende europee possano avere accesso agli stessi trattamenti riservati a quelle cinesi. Ottimo! Allo stesso tempo però, gli immensi sussidi statali già erogati per il piano rischiano di innescare ancora una volta sovraccapacità industriale in dosi massicce, come è successo in passato con le industrie dell’acciaio e dei pannelli solari, aggravando le tensioni con tutti i partner commerciali internazionali della Cina, che per via dell’esperienza accumulata negli ultimi 10 anni vedono uno scenario tale come l’inizio di un periodo di protezionismo. Non certo il massimo in un periodo in cui il populismo è radicato in tutto il mondo occidentale. Il governo cinese è comunque determinato a mantenere un ruolo di primo piano nel guidare l’economia, ma è disposto a concedere spazio anche alle nostre aziende, spazio che dobbiamo assolutamente utilizzare.
Operare liberamente (o forse sarebbe più corretto dire «in condizioni di semi-libertà») nella seconda economia mondiale può portare benefici notevoli a tutti i paesi europei e noi italiani saremmo tra i primi beneficiari, considerando che dopo quello tedesco il settore manifatturiero più forte del continente è il nostro, sebbene il grande spauracchio della sovraccapacità industriale e di conseguenza del protezionismo si configuri come un rischio più che concreto. Chissà se l’industria «China 4.0» riuscirà a imporsi tra i top player tecnologici del mondo, e magari a spaventare sempre di più i poco amati cugini giapponesi.