Ci possiamo amare in due?
Dov’è finito l’amore? Quello vero?
Qualcuno che abbia ancora in coraggio di parlarne.
Di questi giorni, chi parla d’amore viene preso come uno che crede nell’esistenza degli ufo, o di Dio. Io sono una di quelle persone.
Per questo spesso parlo al muro o al mio stupido viso zittito da una società che non mi permette di esprimermi. Non ci credete nell’amore?
Beh, nemmeno io, potrei dire.
Perché non l’ho ancora trovato quello vero, fatto bene. Fatto in due.
Io conosco perfettamente quello a una sola andata. Quello falso. Quello distruttivo. Quello malato. Quello che è solo sesso. Quello che è un gioco, dove io sono il giocattolo, dove non mi diverto. Perché poi vengo gettata via.
Hanno tutti paura.
Di incontrarlo, ma anche semplicemente di parlarne.
Io ancora non ci credo. Ma ci spero. Che, alla fine, è come crederci; sta solo da qualche parte. Molto ben nascosto.
Oh, non abbiate timore, non verrà da voi se non lo volete. Credo.
Vorrei raccontarne liberamente. Ma del resto… È inutile parlare dell’amore. Del resto, che fareste se al posto di un «Ciao» per salutarsi io dicessi a voi che leggete:
«Risposi al richiamo dei sospiri per avvicinarmi al tuo orecchio e assaggiare il sapore della tua pelle. Olfatto gusto sono due sensi sopraffini: ti danno un assaggio da due prospettive diverse, per confonderti i pensieri, ma aiutarti a ricreare la più dolce delle sinfonie.
Quell’insieme che è il tuo profumo mischiato al gusto pungente del calore della tua pelle.
Quel frammento magico situato appena sotto il lobo dell’orecchio. Quasi mi sembra di fondermi con i tuoi pensieri, senza fare l’amore, mi possiedi e ti accolgo dentro di me. Ancora prima di unirmi a te.
A fondo, in un profondo che non ha fine, ma non è buio o calda caverna. È corrente di luce, elettricità cosmica creata dallo scontrarsi folle del ritmo mio cardiaco contro i tuoi “devo andare”.
Potrei dire di essermi innamorata di te. Come potrei non esserlo?
Le tue mani hanno il tocco di una piuma, mentre con le braccia mi stringi con possesso ed io mi sento protetta. Sopraffatta.
Un misto tra estasi e timore di questa simbiosi momentanea con una persona della quale io conosco solo l’intraducibile borbottio dei pensieri.
Guardarsi negli occhi, quella è la sfida. E io azzardo con i miei a perforare i tuoi, insisto fino a quando non decidi di chiuderli e bloccarmi nell’intento.
In quei momenti, sento come una boccata d’aria mozzata in gola.
Che sia dalle tue pupille dalle quali io ricavo il mio ossigeno?
Ti sembrerà una dichiarazione sdolcinata. Forse lo è. Ma non è d’amore.
È una bandiera bianca sventolata tra la pioggia e le lacrime.
Lacrime che, per te, non mi permetto di versare, perché so che non reggeresti il peso di una singola goccia.
Mi lecco ancora le ferite passate, perché bruciano talvolta, ma un tuo dito su di esse è come morfina.
Non so spiegartelo che cosa mi stia succedendo. Perdonami, perché non era nei miei piani inciampare contro di te. Avrei camminato per la mia strada come già stavo facendo, ma cercavo qualcosa di felice da vivere: il mio miglior sapore, da condividere.
E mischierei con te la pelle, la carne, le ossa. Perché un tutt’uno appaia da sotto quel morbido lenzuolo, nel quale io ora sono avvolta. Da sola. Mentre scrivo di te, il cui nome non rivelo.
Mio dannato cavaliere, non mio.
Freddo e distante, pirata solitario.
Sì dai, vediamoci come una fiaba. Ma non farmela scrivere da sola.
Odio i finali scontati.
Dammi la mano e guardami, ti prego.
Perché, quando mi fissi negli occhi, ritrovo la voglia di vivere e di amarti. Ne sarei capace.
Mi manca il via libera.
Di amarti, ne sarei felice».
Chi non scapperebbe, a parte me?