Cirinnà e Costituzione: brutto errore di Adinolfi
«Dal punto di vista tecnico il ddl Cirinnà è talmente scritto male da essere platealmente incostituzionale. Un istituto giuridico originario previsto per i soli cittadini omosessuali
cozza platealmente con l’articolo 3 della Costituzione»
Mario Adinolfi, Facebook, 6 gennaio 2016
bbiamo riportato parte del quarto dei «Sette atti da compiere per fermare il ddl Cirinnà», pubblicati dal direttore del quotidiano online La Croce Mario Adinolfi. Ebbene, convinti che il disegno di legge che verrà nel prossimo futuro discusso in parlamento necessiti di una spiegazione completa e razionale, visto che riguarderà tutti noi e cercherà (con qualche lacuna) di equipararci al mondo civile, possiamo dire che quanto potete leggere in testa a queste righe è una solenne sciocchezza.
Immaginiamo che ad Adinolfi interessasse soprattutto il primo comma dell’art.3 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Difficile capire come faccia il ddl Cirinnà (il cui riassunto trovate qui) a contraddire questo fondamentale principio. Premettiamo che, nonostante tutta la nostra buona volontà, ci è davvero difficile credere nella buona fede di Adinolfi: è stato parlamentare (seppur per pochi mesi), quindi mastica molto più diritto di chi scrive.
La Cirinnà, paradossalmente, dà attuazione a quello stesso comma con cui, secondo il direttore de La Croce, dovrebbe cozzare.
Il ddl sulle unioni civili non riguarda l’orientamento sessuale dei cittadini, bensì l’identità o la diversità del sesso dei membri della coppia. Quindi non un dato di fatto, bensì una scelta: è teoricamente possibile che due uomini eterosessuali vogliano unirsi civilmente. Ipotesi di quasi impossibile realizzazione? Forse, ma lo Stato non può intromettersi in questioni che riguardano l’orientamento sessuale e i sentimenti dei cittadini. Prendiamo come esempio il matrimonio: allo Stato cosa importa se i due sposi si amano oppure se lei, per esempio, è lesbica oppure asessuale? Il ddl Cirinnà non fa altro che estendere – seppur in modo parziale – una libertà che gli italiani già hanno, ossia quella di unirsi in un nucleo familiare (il motivo di tale unione è affar loro, se entrambi sono consenzienti) e da questa unione derivano tanto dei diritti quanto dei doveri, che grazie al disegno di legge sulle unioni civili, verranno estesi anche alle coppie dello stesso sesso, in gran parte almeno.
Se Adinolfi è convinto che la creazione di un nuovo istituto giuridico che riguardi solo le coppie dello stesso sesso sia incostituzionale, allora lo sarebbe anche il matrimonio visto che i contraenti devono essere obbligatoriamente maschio e femmina. Per quanto riguarda le «incongruenze» con l’articolo 29 della Costituzione che Adinolfi su Facebook ha denunciato pur senza elencarle, si tratta di un’altra insensatezza. Per fortuna ho studiato la logica aristotelica, se no un ragionamento come questo non riuscivo a farlo:
1. «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» (art.29 Cost.)
2. «Le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso» (art.2, comma 4, ddl Cirinnà).
Ne consegue che
3. Le unioni civili sono equiparate al matrimonio.
Quod demostrandum erat
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia
Sottoscrivo! Unica perplessitá: dubito fortemente che Adinolfi per essere stato quattro mesi in Parlamento mastichi qualcosa di diverso della generale,becera e demagogica partigianeria tipica del luogo. Altro che Diritto!