Un lavoro? Le faremo sapere (nella prossima vita)

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Il colloquio di lavoro. Questo sconosciuto, ma soprattutto questa gran rottura. Perché non basta un curriculum, non bastano le mille foto che l’azienda ti chiede. No. Speri che sia finita lì, e ti illudi. Hai fatto un mutuo solo per il book fotografico per candidarti come assemblatore di tappi di sughero, ma questo non basta. Ti chiamano al telefono e ti parlano a raffica: chiedono di te e poi parlano più veloci di un rapper. Capisci che è per un lavoro, ma non capisci neanche quale perché l’interferenza aspetta giusto quel momento per interromperti la linea. Chi glielo dice che non hai capito? Di andare più piano? Puoi provare, dura due secondi, poi ricominciano e devi arrenderti. Tu allora inizia a sperare in una mail di conferma da parte di chi ti chiama.
Ad un tratto la chiamata cambia. Iniziano l’interrogatorio: se capisci le domande, bene. Altrimenti boccheggia e rispondi a caso. Prova a chiedere se ti ripetono la domanda, ma 99% delle volte il suono riprodotto è il medesimo del primo. Poi, la parte che preferisco: danno finalmente un appuntamento face to face. Ti danno a raffica l’indirizzo, fanno una pausa, e solo allora si accorgono di star parlando da sole e chiedono: «Sta scrivendo?». No, ho riattaccato perché parlavi troppo. Chiedimelo prima se ho carta e penna invece che parlare per mezzora senza prendere fiato! Altro che empatia e chiaroveggenza, per farcela bisogna avere un livello spirituale superiore.

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Ti arriva per fortuna una mail con il nome dell’azienda e la conferma dell’appuntamento: queste sono le prove più tangibili che un dio esiste e che vi ascolta, esultate. Voci di corridoio dicono di andare sul sito dell’azienda e verificare come sono vestiti gli omini che compaiono nelle immagini e presentarsi al colloquio di conseguenza, possibilmente anche senza gomma da masticare e un odore che stermina le piante. Inoltre immaginate l’imbarazzo di essere in tuta mentre quello prima di voi è in giacca e cravatta. Meglio evitare di rimanere basiti poco prima del colloquio. Soprattutto ai primi colloqui, sei in genere un piccolo illuso, che crede davvero che il sorriso confidenziale degli interlocutori sia reale. In realtà ti massacrano. Poche regole:
1) Mai credere al loro sorriso complice;
2) Tenere sempre la mano destra libera per stringere la mano e scrivere;
3) Mentire spudoratamente sui vostri sogni: il vostro sogno è sempre stata l’azienda che avete di fronte.
Perché queste tre regole? Provate a sbagliarle, a guardare le loro facce e come vi intortano che non andate bene per quel lavoro.
La miglior fine? Il classico «le faremo sapere». Sì, ma quando? Tra un mese? Un anno? Quando sarò nella prossima vita? Sempre meglio di quelli che dicono un giorno e poi non lo rispettano. Ma intanto si sa: chi cerca lavoro deve avere tanta pazienza. E una dispensa piena di valeriana.