Com’è difficile essere liberali
ssere liberali è difficile, e qualche volta richiede anche il sacrificio del proprio interesse contingente nel nome della libertà di tutti. Questo tendiamo purtroppo a dimenticarcelo sempre più spesso. Va di moda definirsi «liberali» ed è facile, quando le idee degli altri non ci disturbano. Per capire la profondità di questo pensiero bisogna tornare indietro nel tempo, per arrivare a quando il contrario di «liberalismo» era «democrazia»: per utilizzare termini moderni e per semplificare, mentre i democratici mettevano il benessere collettivo di una nazione prima di tutto, i liberali ritenevano che le libertà dell’individuo in quanto singolo fossero preminenti.
Essere liberali è indubbiamente difficile: significa permettere e accettare il pensiero altrui, qualunque esso sia, nella convinzione che lo Stato (sempre che debba per forza esistere) sia un limite, seppur talvolta necessario, all’autorealizzazione dell’individuo. Non «a tutti lo stesso», bensì «a tutti le stesse opportunità», secondo una meritocrazia che l’Italia probabilmente (almeno in età repubblicana) non ha mai conosciuto.
Meritocrazia, dicevamo, ma soprattutto libertà individuali: prime fra tutte quelle di pensiero e di espressione, tanto da ammettere anche l’esistenza di pensatori politici e partiti palesemente antidemocratici. È un rischio? Certo che sì, ma non volerlo correre significherebbe mettere una censura. Quest’ultima poi presupporrebbe un «censore», e chi sarebbe, se abbiamo tutti gli stessi diritti individuali? Chi stabilisce la nomina di un primus inter pares deputato a decidere cosa è giusto e cosa non lo è?
Per scegliere i rappresentanti politici ci sono le elezioni, ma la classe dirigente deve muoversi all’interno di alcuni binari precostituiti, tali da non pregiudicare l’esistenza anche delle minoranze. Se la democrazia è tirannia della maggioranza, il liberalismo è dialogo politico, dove ognuno ha diritto di parola ed è la coscienza individuale a decidere quali idee abbracciare e quali rifiutare, senza però disprezzarne nessuna.
In Italia, ma non solo, il dibattito politico è ormai sputtanamento degli avversari: i rappresentanti del Pd pensano di vincere le elezioni senza produrre nulla di nuovo, limitandosi a criticare il Movimento 5 Stelle; quest’ultimo poi fa esattamente la stessa cosa, ponendosi come idealmente «superiore» (sulla base, per esempio, dell’onestà e dell’incorruttibilità) alla destra e alla sinistra, approfittando del fatto che le ideologie novecentesche sono in crisi perché è cambiato il mondo. Questa non è politica, figuriamoci dibattito liberale, è solo una lotta fra bande, cit. Massimo Fini.
Essere liberali significa non condannare il pensiero in quanto tale, bensì le eventuali azioni che ledono la libertà degli altri. Quest’ovvietà è fin troppo spesso dimenticata dalla politica, i cui partiti pensano davvero di essere un gradino sopra gli avversari.
Forse avete ragione voi, ed essere liberali è pericoloso e controproducente, ma allora non negate di voler avere la maggioranza dei voti per poter fare quello che volete, fregandovene delle minoranze, che vanno sempre e comunque tutelate. Se la sinistra pensa di essere superiore ai fascisti, se qualcuno ritiene che non esista il diritto a essere misogini o razzisti (senza mettere in pratica il proprio pensiero), se qualche altro pensa che sia abominevole drogarsi in casa propria, ricordatevi che questa si chiama tirannia, anche se voi vi ritenete democratici.
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia