Come ci hanno condotti a odiare lo Stato

Se andassimo per strada a domandare ai passanti chi tra loro si definisce un patriota, una persona orgogliosa di essere parte della Repubblica Italiana, troveremmo ben pochi a levare la mano per rispondere affermativamente.

Infatti, nel nostro Paese, il senso di appartenenza alla Nazione risulta largamente deficitario, salvo ridestarsi chiassosamente in occasione delle partite degli Azzurri, durante le quali i colori della nostra bandiera abbondano su balconi, sciarpe e visi. Non a caso, più che cittadini, in un’analisi ormai ben poco originale, siam finiti per essere dei tifosi, seguaci bendati di un leader (perché gli anglicismi ci garbano assai) la cui visione dovrebbe differenziarci gli uni dagli altri, in quelle barricate che ci appaiono contrapposte, ma che, a ben vedere, sono accomunate da un minimo comune denominatore: il disgusto per lo Stato.

Pensiamo alla Lega. Lungamente è andata spargendo il seme dell’avversione nei confronti dell’entità statale, facendo echeggiare con slogan come Roma Ladrona la solfa di uno stato centrale sanguisuga del profitto dei laboriosi nordici e acuendo le spaccature tra Settentrione e Meridione; insomma, invece di elevare i principi solidali che emergono dalla Costituzione, di cui lo Stato è chiamato a farsi carico, i leghisti hanno esaltato l’individualismo di stampo liberale, spingendo per la conservazione del  rigoglioso orticello padano e facendo passare lo Stato per un’odierna cimice asiatica da sterminare con il pesticida della secessione.

Diversamente, ma ugualmente, Partito Democratico e affini hanno instillato negli italiani un angosciante senso di colpa per aver creduto nella magnificenza dello Stato italiano, per averlo reso grandioso e, sotto molti aspetti, a immagine e somiglianza della Costituzione redatta dagli esponenti antifascisti appena terminata la Seconda Guerra Mondiale: non solo capace di competere con le più performanti economie mondiali, ma in grado di far star bene i suoi abitanti, fornendo occupazione e un welfare tra i più avanzati al mondo. Quest’affermazione della dimensione pubblica, per i malcelati liberisti in abito rosso, non poteva reputarsi accettabile, così è stato fatta uscire dal cilindro quella subdola forma di terrorismo denominata debito pubblico, più avanti accompagnata dallo spread, strumenti per far cadere il popolo nella convinzione che lo Stato non funzioni e che si debba rinunciare alle sue peculiarità, per affidarsi a un privato che, stando all’art. 2082 del Codice Civile persegue finalità economiche, quindi ben differente dallo Stato disinteressato che agisce esclusivamente per il bene dei cittadini.

Infine, tra i partiti, non si può non menzionare il Movimento 5 Stelle, il quale ha reso la critica feroce nei confronti delle dinamiche statali il suo stendardo. Erroneamente scambiato per una formazione alternativa al sistema, è stato, in verità, fin dagli albori fedele a quella che è la linea imperante: lo Stato va abbattuto. Lo capiamo bene se ci soffermiamo sull’astio con cui hanno da sempre condotto le loro battaglie contro, non tanto quello che hanno compiuto i singoli parlamentari, ma sul loro numero, i loro emolumenti, le loro comodità, distogliendo il focus dai tradimenti perpetrati ai danni della collettività ad aspetti, sì fastidiosi, ma nettamente secondari rispetto a cessioni di sovranità, austerità, disoccupazione, depauperamento di tutti i settori pubblici. Sottolineiamo anche come i pentastellati hanno demonizzato l’attività statale, facendo trasparire un’immagine omogenea di corruzione e malaffare in generale, dipingendo l’Italia quasi come fosse l’unico Stato al mondo che ne è affetto e amplificando quelli che sono gli effettivi episodi. Non dimentichiamo, in ultimo, il veleno nei confronti dei finanziamenti pubblici, campagna svolta a braccetto col Fatto Quotidiano: invece di focalizzarsi su maggiori controlli e più aspre pene per chi si appropria indebitamente di soldi erogati dallo Stato, hanno trasmesso il messaggio che sia meglio un privato facoltoso che manovra un gruppo politico o un giornale a proprio vantaggio di un imparziale stanziamento pubblico che permette a chiunque di far valere le proprie idee e di fare informazione.