La condizione di chi è discriminato per più fattori
Il minority stress è lo stress a cui sono soggette tutte le minoranze sociali in ambienti ostili. In un sistema patriarcale ed eteronormato, in cui il modello dominante è quello dell’uomo bianco borghese abile ed eterosessuale, tutte le persone che non sono conformi a questo schema vengono sovente stigmatizzate, poste ai margini della società e sottoposte a una tensione che spesso genera forti malesseri di ordine psicofisico. L’obiettivo principale dei movimenti che rivendicano libertà ed eguaglianza è proprio quello di ragionare in un’ottica intersezionale, rivendicando i diritti di donne, migranti, disabili, omosessuali e bisessuali, transgender e gendervariant, giovani, anziani, economicamente disagiati. Molte persone rientrano in più «categorie» svantaggiate, per cui sono doppiamente discriminate. È questo il caso dei migranti LGBT+ o dei disabili anziani omosessuali e/o trans. Insomma, non si può parlare di contrasto alle discriminazioni, se non si tengono presenti tutti i tipi di discriminazione. Tra i movimenti che si muovono in questa direzione c’è certamente il transfemminismo queer, che si oppone al modello di sistema sanitario pubblico neoliberale che limita l’accesso a pochi privilegiati, che cristallizza i generi e le sessualità, mentre, di contro, va sviluppandosi un modello cosiddetto TERF, letteralmente Trans-Exclusionary Radical Feminist incarnato dall’attuale direttivo di ArciLesbica Nazionale. Il nostro contesto sociale e politico sta cominciando a comprendere e adoperare dei metodi intersezionali, ma dal punto di vista giuridico si fa fatica ad assimilare i concetti di discriminazione multipla e intersezionalità. Questo avviene perché il diritto è spesso creato e applicato in modo rigido e settoriale e finisce per considerare i fenomeni discriminatori come dei compartimenti distinti, ma la realtà è ben più complessa ed è impossibile scindere i fattori gli uni dagli altri. Ragionare in un’ottica intersezionale, quindi, è utile e necessario al fine di garantire una maggiore tutela e un maggiore riconoscimento delle identità in tutta la loro complessità. anche perché la discriminazione nella discriminazione appare un fenomeno molto diffuso. Nel 1989 fu una donna afroamericana, Kimberlé Crenshaw, a proporre il termine «intersectional» per descrivere la sovrapposizione (o intersezione) di diverse identità sociali e le relative possibili particolari dominazioni.
Questa metodologia è stata teorizzata per dimostrare che svariate categorie biologiche e socioculturali, quali l’età, il genere percepito, il sesso biologico, il colore della pelle, la religione, la disabilità, l’orientamento sessuale interagiscono a più livelli, sovente contestuali.
Per comprendere pienamente l’identità di un singolo, quindi, occorre pensare a ogni elemento che lo caratterizza come indissolubile dagli altri. In questo modo si comprende meglio come l’ingiustizia sociale si manifesta partendo da una base multidimensionale, tant’è che le concettualizzazioni classiche dell’oppressione, quali la xenofobia, il razzismo, la misoginia, l’omofobia, la transfobia e tutti i pregiudizi basati sull’intolleranza agiscono in maniera interconnessa creando un sistema sociale generale di oppressione.
Più in generale, la visione intersezionale della realtà suggerisce la destrutturazione dei binomi e dei binarismi, a partire dal bianco/nero, maschio/femmina, uomo/donna, abile/disabile ricco/povero per annullare le discriminazioni connesse alle differenze, che sono un valore e non un disvalore.
Classe 1994, di Napoli, laureat* alla triennale in Scienze Politiche alla Federico II, studia Relazioni Internazionali alla Magistrale. Attivista LGBTQI.
Complimenti per l’analisi molto lucida ed esaustiva relativa ad un argomento di cui si parla sempre molto poco e purtroppo in maniera molto imprecisa. Dovremmo ragionare tutti in un’ottica “intersezionale”! Bravo Lorenzo Ferrara.
Massimo
Non potrei essere più d’accordo! Le differenze esistono e non devono essere un disvalore, un qualcosa che ci faccia sentire sbagliati, criticabili o diversi, certo è che quello che manca è un’educazione che non vada a minare le identtà degli individui perchè prima che disabili, omosessuali , bisessuali siamo persone e abbiamo dei sentimenti umani.
Grazie della riflessione che condivido
E se invece di creare altre e nuove categorie per stigmatizzare le persone non si ragionasse in un’ottica di onnicomprensività avendo a riguardo quella Natura, matrigna crudele di leopardiana memoria, che di certo non si cura delle categorie umane?
Non è quindi forse meglio incentivare chi si sente discriminato a rimboccarsi le maniche e darsi da fare per ricavarsi un suo posto nel mondo in cui sa di valere per ciò che fa più che per le etichette che gli si attribuiscono? A ben vedere, ognuno di noi si sente discriminato per un verso o per l’altro, ognuno di noi si sente minoranza attaccata da qualche fattore esterno e fare a gara a chi è più minoranza non mi sembra molto proficuo per l’obiettivo che ci si pone. Non ho mai sentito nessuno proclamarsi fieramente parte di una maggioranza e quindi senza attacchi variamente discriminatori dall’esterno
Se tutto è minoranza alla fine poi niente lo è e quindi è anche inutile rivendicare diritti dall’alto per categorie che si sentono tutte minoranze ugualmente attaccate