Cop21: ultima chiamata per salvare il pianeta
Sono le sorti dell’intera umanità che si stanno decidendo in questi giorni a Parigi, nella 21° conferenza sul clima delle Nazioni Unite. Il futuro dei nostri nipoti e del nostro pianeta è nelle mani di 150 leader mondiali che cercheranno, o almeno fingeranno, di trovare un accordo per limitare i danni ormai inevitabili del cambiamento climatico.
È difficile cogliere la reale importanza di questo tema: vediamo ogni giorno gli effetti della crudeltà dell’uomo, sofferenza e morte in ogni parte del mondo, e questo ci spinge a credere che l’ambiente possa aspettare di fronte a tutto questo. Ma ci sbagliamo.
Il problema del cambiamento climatico ha la particolarità di restare più o meno nascosto, di emergere solo sotto forma di catastrofi ambientali in luoghi molto lontani – magari attribuite ad altro –, o di freddi dati, studi, statistiche che ci lasciano indifferenti. È responsabilità di tutti, e quindi di nessuno; ma soprattutto, occuparcene comporterebbe per noi solo una grande seccatura, e benefici solo per le generazioni future, che non conosceremo mai e che non potranno mai ringraziarci. Insomma, il cambiamento climatico è una «perfetta tempesta morale», come l’ha definito il professor Stephen Gardiner: è caratterizzato da una convergenza di fattori che ci impediscono di sentirci moralmente coinvolti.
Fino a oggi la lotta al cambiamento climatico non ha portato a grandi risultati: gli accordi sanciti si sono rivelati poco efficaci, non prevedevano veri e propri vincoli, o comunque era impossibile verificare se gli impegni presi erano stati rispettati; ma il fallimento del principale trattato, il protocollo di Kyoto, va attribuito in modo particolare al ripensamento degli Usa e all’esclusione della Cina in virtù della condizione di paese in via di sviluppo.
In effetti non è facile immaginare un accordo che sia allo stesso tempo vincolante ed equo: in che modo obbligare i governi a adottare misure concrete per l’ambiente? che peso dare alla responsabilità storica in relazione alle condizioni attuali dei singoli stati? come distribuire diritti e doveri? è giusto negare agli stati in via di sviluppo l’utilizzo delle risorse di cui in passato hanno ampiamente fatto uso i paesi più sviluppati?
Sono proprio questi i principali punti di disaccordo che a Parigi hanno fatto emergere sin da subito due posizioni contrastanti: da un lato, i paesi ricchi dell’Occidente, che si dicono pentiti della condotta passata e pronti a rimediare, e richiedono un accordo che coinvolga nella stessa misura tutti i paesi; dall’altro, i paesi in via di sviluppo, come Cina e India, che rivendicano il proprio diritto a perseguire la crescita economica senza curarsi dell’impatto ambientale. A prima vista un diritto sacrosanto, finché non ci rendiamo conto che la Cina è oggi il maggior inquinatore mondiale, responsabile del 29% delle emissioni globali. Pur consapevole di ciò, il presidente Jinping ha dichiarato che non ha intenzione di porre freno alle emissioni di gas serra – che cresceranno ancora fino a raggiungere il picco entro il 2030 –, seguito dal premier indiano Narendra Modi, secondo il quale «gli stili di vita di pochi non devono eliminare le opportunità dei tanti ancora ai primi passi della scala dello sviluppo».
Sembrano molto motivati invece gli occidentali, che non a torto hanno sottolineato l’importanza della conferenza, chissà se comprendendola davvero o solo a parole. «Bisogna agire ora, mettendo da parte gli interessi di breve termine. Siamo l’ultima generazione a poter salvare il pianeta»: la voce di verità di un Obama tuttavia non ancora pronto a rispettare obblighi giuridicamente vincolanti.
I piani presentati dagli stati membri dell’Unfccc per raggiungere l’obiettivo del Cop21, limitare l’innalzamento della temperatura globale a 2° rispetto all’epoca preindustriale (ora siamo a 0,85°), a prima vista promettono bene, ma secondo alcune stime non sarebbero sufficienti: i più ottimisti calcolano che basteranno per fermarsi a 2,7°, apparentemente non molto sopra la soglia. Se non fosse che anche un aumento di soli 2° sarebbe catastrofico, e i leader riuniti a Parigi lo sanno bene. Continuare a rimandare, confidando in future tecnologie che porteranno magicamente alla soluzione, non serve a nulla. Se la temperatura continua ad aumentare, da un certo in punto in poi, anche se si riuscisse a ridurre a zero le emissioni globali, la situazione si farà incontrollabile, e continuerà a peggiorare indipendentemente dalla nostra condotta. Indipendentemente dal pentimento. Indipendentemente dall’innocenza di chi dovrà subirne le conseguenze: catastrofi naturali, scarsità di cibo, migrazioni, guerre.
C’è solo da sperare che a Parigi qualcuno riesca a mettere da parte l’interesse personale.