Omosessualità: è una questione personale
Qualcuno leggerà questo corsivo senza capirlo e allora tuoneranno le trombe del giudizio universale. L’abbiamo messo in conto e non ce ne preoccupiamo più di tanto.
Parliamo di un argomento molto scottante che abbiamo già più volte toccato senza mai approfondirlo come merita: la comunità Lgbt, acronimo che sta per Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transessuali, comprendendo comunque tutte le sfumature della sessualità o dell’identità di genere che, se volessimo cercare di elencarle, non basterebbe una giornata e il lettore – immaginiamo – si annoierebbe non poco.
Prendendo con le pinze l’affermazione che segue ci vogliamo unire al coro di coloro che affermano «Cosa serve esibire la propria omosessualità?», in effetti i gusti sessuali di ognuno di noi sono, e devono rimanere, un fatto squisitamente personale: parlando molto terra terra, che me ne frega se il mio collega è gay? Mi interesserà più capire se è un chiacchierone che mi molesta quando lavoro oppure se ha la cattiva abitudine di non lavarsi e quindi devo cambiare postazione. Con questo non stiamo dicendo che l’omosessualità (prendiamo per esempio questo, pur riferendoci a tutte le altre lettere del suddetto acronimo) sia qualcosa che si deve nascondere: non c’è nulla di cui vergognarsi ad essere omosessuali, come nulla c’è da vergognarsi ad essere eterosessuali.
La sessualità, come la religione, è un fatto personale. Non serve a nulla esibirla: se così non fosse, come mai i numerosi Gay Pride non hanno sortito alcun effetto, se non quello di allontanare ulteriormente i benpensanti dalla comunità Lgbt? Ognuno è libero di fare quello che vuole, di scriversi in fronte «Gay», «Ateo» oppure «Ho le emorroidi», però esibire una parte di sé non si lega al raggiungimento di un’uguaglianza. Inutile prendere spunto dall’Inghilterra, dalla Francia, dalla Spagna o dalla Germania: dobbiamo rendercene conto: necessitiamo di un «programma differenziato»: siamo un paese di trogloditi.
Tito Borsa
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia
Mi piacerebbe tanto che le distinzioni/discriminazioni tornassimo a farle tra corrotti e onesti, tra incompetenti e competenti, tra avveduti/informati e soliti grulli/alfabetizzati appena…. La realtá è sempre semplice e si mostra chiara ai nostri occhi. Il resto ê creato ad hoc per confonderci. Grazie per l’intervento che dovrebbe essere ancor più coraggioso…
Il ragionamento dell’articolo sarebbe esatto se la società italiana fosse arrivata ad un livello tale di tolleranza nei confronti della comunità lgbtiq, purtroppo non è così, soprattutto a livello della classe dirigente politica. Ė ancora necessario manifestare politicamente la propria esistenza perchè questa al momento viene negata in ogni modo dalle istituzioni e se si è raggiunta una qualche forma di accettazione è proprio perché qualcuno ha avuto il coraggio di metterci la faccia, di raccontare la propria storia e di far conoscere alla società che ad essere gay non c’è niente di male. Il gay pride in molti paesi viene visto come una grande festa per tutti e come molti in Italia pensano non è una carnevalata ma nasce dai moti di Stonewall, (consiglio la visione del film Stonewall di Nigel Finch) purtroppo i media italiani hanno sempre cercato di farlo apparire soltanto come la manifestazione degli ominisessuali che vanno in giro col culo di fuori e con il boa di struzzo. Pur essendo un paese di trogloditi penso che ci arriveremo prima o poi anche noi a una uguaglianza e quel giorno arriverà quando il pride sarà la festa di tutti e non scatenerà l’isteria collettiva per quattro trans col boa di struzzo che giustamente sfilano insieme agli altri, è solo questione di tempo.