Abbiamo bisogno di vedere il corpo di Regeni?
«Sul suo viso ho visto tutto il male del mondo che si è riversato su di lui»: così la madre di Giulio Regeni descrive l’impressione che ha suscitato in lei l’immagine del cadavere del figlio. Immagine che per ora non è intenzionata a rendere pubblica, a meno che ciò non si dimostri necessario per fare finalmente giustizia.
Ma abbiamo davvero bisogno di una prova visiva per cogliere il significato di ciò che è successo? Le sole parole, la sola riflessione, non bastano a suscitare in noi una reazione emotiva? Forse no. D’altronde anche la religione, che dovrebbe coinvolgere più di ogni altra cosa lo spirito, ha bisogno per sopravvivere di qualcosa che si possa vedere, toccare con mano. Ma forse non è opportuno assecondare questa tendenza. Se oggi vogliamo vedere una foto come prova della violenza, che cosa chiederemo domani? Vorremo magari sperimentare in prima persona: chissà a che cosa ci porterebbe.
Inoltre, siamo davvero convinti che divulgare la foto di un uomo martoriato possa essere utile a risvegliare le coscienze? Siamo talmente abituati, specialmente dalla televisione, ma anche dai videogiochi, ad azioni violente e a immagini forti, autentiche o meno, che forse la foto del corpo di Giulio ci farebbe l’effetto contrario a quello desiderato: ci sentiremmo estranei, indifferenti a quella realtà, come se si trattasse dell’ennesimo cadavere straziato nell’ennesima serie poliziesca.
Secondo alcuni, l’effetto della divulgazione della foto sarebbe perlomeno politico: la credibilità del regime di al-Sisi verrebbe seriamente messa in discussione. Ma se una credibilità mai c’è stata, ci ha già pensato il presidente egiziano in persona a distruggerla, basti pensare alle sue parole di un mese fa: «Giuro su Dio che chiunque provi [a far cadere il governo] sarà cancellato dalla faccia della terra. Cosa credete di fare? Chi siete?». Serve altro?