Il linguaggio della XVII legislatura, intervista a Michele Cortelazzo

Michele Cortelazzo è Professore ordinario di Linguistica italiana all’Università degli Studi di Padova. Negli ultimi anni si è occupato dello studio del linguaggio politico e istituzionale.

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A cura di Tito Borsa

Professor Cortelazzo, quali sono le caratteristiche principali del linguaggio dei parlamentari nella XVII legislatura?
Se noi pensiamo al linguaggio dei parlamentari sono esattamente le stesse delle legislature precedenti, cioè quello che emerge è un’assoluta continuità anche da parte di questi nuovi arrivati, ossia di chi non ha un passato politico, di adeguamento alle convenzioni del linguaggio parlamentare. A volte quelli del M5S non riescono a sostenere certe codificazioni linguistiche: per esempio si rivolgono alla presidente della Camera Laura Boldrini come è prassi dandole del lei e poi non riescono a proseguire e quindi le danno del voi. E si vedono delle discrasie di un sistema non ben dominato ma con una fortissima tendenza al conguaglio. Questa è la prima ipotesi. Quello che appare più interessante sono alcune forme di innovazione che però non accadono dentro il Parlamento: il primo è l’introduzione nella politica di forme del linguaggio proprie della comunicazione nello spettacolo, non è tanto la questione Grillo che pure c’è ma per certi versi un comizio di Grillo non è ben distinguibile dai suoi spettacoli; la caratteristica personale prevale e c’è uno scarto molto forte rispetto al comportamento linguistico e comunicativo dei suoi adepti, anche quelli – per così dire – di «alto livello»: i Di Maio, i Fico eccetera. Questo scarto è evidente in Renzi che è il primo presidente del consiglio che fa i discorsi senza tracce scritte. Naturalmente questa non è improvvisazione perché probabilmente ha un copione memorizzato: i suoi sono comunque discorsi ben strutturati. Dal punto di vista dell’esecuzione Renzi improvvisa anche in ambito istituzionale. Sul piano semiotico c’è il recupero della camicia bianca che dà caratterizzazione, tanto da averla imposta anche agli altri leader della sinistra in una riunione nell’autunno scorso. Negli studi del linguaggio politico si distinguono due tipi di ingiuria: l’ingiuria quella «comune» che di solito fa riferimento agli escrementi e al sesso e quella «politica» che era stata riesumata con un’operazione comunicativamente molto ben costruita da Berlusconi quando ha rivitalizzato l’epiteto di «comunista» in un momento in cui i comunisti sono pressoché scomparsi. Oggi ha ripreso vigore l’ingiuria di tipo quotidiano. C’è una tendenza a togliere ampollosità al discorso politico, strada già intrapresa nel periodo precedente: a favore di questa tesi c’è un dato a mio parere eclatante: nuovo presidente della Repubblica, personaggio che proviene dalla prima repubblica, in teoria sarebbe il personaggio perfetto per l’uso del politichese. Mattarella invece ha fatto un discorso di insediamento che ha la lunghezza media delle parole più bassa di tutta la storia della Repubblica. Vuol dire che c’è un impianto comunicativo, partorito da degli esperti di comunicazione, verso la brevità che poi diventa brevità assoluta quando diventa strumento di uso di diffusione delle parole politiche: per esempio con Twitter. Dal politichese, concettualmente complesso, siamo passati ad un’apparente semplificazione che però molto spesso non riesce ad essere comunque trasparente. Abbiamo tutte queste cose che erano in uso anche nella politica precedente ma che adesso hanno fatto un grande salto: prima erano elementi di contrapposizione politica (Berlusconi ce le aveva, il Pd no), ora invece appartengono a tutti ma il Pd è il partito che le governa in modo migliore.

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Che ruolo ha la sintesi estrema di Twitter nella comunicazione politica?
Innanzitutto Twitter sta diventando anche un canale di comunicazione istituzionale: la scorsa estate sembrava che fosse scomparsa la denominazione “ginnasio” dal sistema scolastico italiano, il ministero ha dato il suo parere non con una circolare ma con un tweet. Questa è una cosa che a me ha lasciato un po’ perplesso dato anche il basso valore giuridico di una cosa di questo genere. A parte questo, Twitter ha secondo me un vantaggio – la brevità – e due svantaggi: se la brevità comporta condensare in poche parole un contenuto profondo, è una bella sfida all’intelligenza umana. Forse un po’ eccessiva rispetto al numero di caratteri, però è una bella sfida: si deve dare una risposta pregnante in poche parole. Il rischio è che la brevità significhi semplificazione. L’altro svantaggio è la rapidità dello scambio che può essere pericoloso per chi comunica in ambito istituzionale. Temo che l’uso di Twitter porti ad un impoverimento delle nozioni trasmesse nello scambio comunicativo politico e non una sua scarnificazione che potrebbe essere di tipo positivo. Il tweet è troppo breve e ti permette di fare solo una battuta politica. Bisogna anche dire che la capacità dei leader politici di gestire bene uno strumento come Twitter è molto bassa: lo scambio comunicativo è spesso malfunzionante. Esempio emblematico di questa incapacità di dominare il mezzo è Maurizio Gasparri.