Crescita economica: l’Italia, lumaca d’Europa
Forse ci siamo. Nel 2016 il potere d’acquisto delle famiglie italiane è finalmente aumentato e per essere precisi dell’1,6%, un trend che non si vedeva dal 2001 ma che comunque ha frenato nell’ultimo trimestre dell’anno per via della risalita dei prezzi (soprattutto dell’energia), che ha portato a una inversione di tendenza rispetto a una prima metà dell’anno «boom».
L’Istat, per il 2016, segna lo stesso aumento (+1,6%) anche per il reddito disponibile delle famiglie, il maggiore dal 2011. C’è anche molto conforto grazie ai dati sul reddito pro-capite e alla progressiva diminuzione della disoccupazione. Purtroppo però vi sono un paio di obiezioni da fare; la prima è che reddito pro-capite e occupazione sono saliti principalmente grazie al fatto grazie al fatto che la popolazione si è ridotta (più giovani se ne vanno e meno gente si può permettere di fare figli) La seconda è che le dinamiche in questione non tengono conto dell’inflazione. Non a caso dal Codacons si parla di «illusione ottica» e il progresso viene attribuito «unicamente alla deflazione e al crollo dei prezzi al dettaglio avvenuto nel corso del 2016, quando l’inflazione ha fatto segnare una media del -0,1%».
Tornare ai livelli di potere d’acquisto e consumi pre-crisi è impresa ardua. Tra il 2007 e il 2014, la capacità di spesa delle famiglie è scesa del 12%, mentre nello stesso periodo i consumi degli italiani sono crollati per ben 80 miliardi di euro. Per quanto riguarda i consumi finali delle famiglie italiane nel 2016 la spesa è salita per il terzo anno consecutivo, segnando un aumento dell’1,3%, la propensione al risparmio ha fatto un passo in avanti salendo dall’8,4% del 2015 all’8,6% del 2016. Anche in questo caso però, quest’ultima si è contratta improvvisamente tra luglio e ottobre, quando il reddito disponibile è sceso mentre i consumi sono rimasti in crescita. Non potevano certo mancare nel rapporto Istat i conti pubblici: nel 2016 il rapporto deficit/Pil si attesta ufficialmente al 2,4%, in riduzione di 0,3 punti percentuali rispetto al 2015. Il debito pubblico rimane a quota 133% e il saldo primario (il bilancio dello Stato al netto delle spese per gli interessi sul debito) si conferma stabile e positivo per l’1,5% del Pil. Resta il fatto che la nostra economia rimane la più lenta dell’eurozona, con tassi di crescita fermi allo «zero virgola« e riforme strutturali necessarie ma ignorate da tutti. Per dare uno slancio definitivo agli indicatori ci vogliono investimenti e non dobbiamo avere paura di farli, né di accoglierli.