Siria: cos’era Damasco prima della guerra
C’era una volta una Siria che adesso non c’è più. Guerre, bombardamenti, aerei militari, truppe e distruzione. Ma della Siria, la vera Siria, quella senza guerra, in pochi forse hanno sentito parlare.
Terra di fiorenti scambi commerciali sin dai tempi di greci e romani, quando nel Cinquecento l’Impero Ottomano sconfisse l’esercito musulmano vi trovò a convivere insieme quasi tutte le culture del mondo conosciuto, compresi cristiani, musulmani ed ebrei. Damasco divenne una porta di ingresso per i pellegrinaggi verso La Mecca e la Siria cominciò a risplendere di una luce sacra. Anche nella seconda metà del Novecento, nonostante la dittatura di Assad (figlio), la Siria è rimasta un mosaico di culture e storie.
Parlo con Claudia (nome di fantasia), che ha vissuto un anno a Damasco tra il 2010 e il 2011, fino a poco prima che scoppiasse la guerra, e le chiedo di raccontarmi come si viveva in Siria prima che divenisse tappa fissa al Tg delle 20.
Prima di iniziare a parlare sospira, un po’ malinconica, e mi dice che lì si viveva bene, proprio bene!
«Damasco è bellissima, è magica, ti incanta. Prima che scoppiasse il conflitto la città vecchia di Damasco era un punto di incontro di culture e tradizioni, si organizzavano concerti con artisti anche di fama internazionale, ospitava il festival del jazz e l’opera, la gente amava andare all’opera. Era una civiltà che viveva di cultura e turismo, che manifestava un’enorme capacità artigiana, passeggiando per le strade infatti ci si poteva imbattere in piccoli negozi che esponevano colorati tessuti, vasellame, argento, era una civiltà ricca di molte capacità e costumi.
Ciò che mi colpiva dei siriani era la loro voglia di uscire e di vivere momenti conviviali, tutti insieme, i ristoranti infatti erano sempre pullulanti di vita e la cosa più sorprendente è il fatto che c’erano possibilità per tutti, ristoranti di lusso in particolare per turisti e veri ricchi, ma anche ristoranti abbordabili per le famiglie magari più numerose e meno benestanti.
Un altro fattore sorprendente era l’abitudine di recarsi all’hammam, il bagno turco. Era una tradizione stupenda, secondo me, un momento per rilassarsi e recuperare energie, anche questa accessibile a tutte le «classi sociali» in quanto i prezzi erano totalmente abbordabili, in modo da lasciare spazio a tutti per quei momenti di pace e relax.
I siriani avevano una qualità di vita alta rispetto ad altri paesi vicini, lì andare a scuola era normale, anzi il sistema educativo statale funzionava bene e la maggior parte delle persone vi aveva accesso, esistevano delle università pubbliche e studiare non era solo un privilegio per pochi. Anche i servizi sanitari erano garantiti e soprattutto non erano a carico del paziente come in altri paesi dell’area, dove la salute era un privilegio. I servizi sociali minimi erano garantiti e non esistevano problemi di criminalità o rivolte di bande armate perché la sicurezza era capillare. Forse a volte era addirittura asfissiante, ma io non avevo paura di camminare da sola di notte per la città. Mi piange il cuore quando penso che Palmira è stata distrutta, che il Suk più antico del mondo di Aleppo non esiste più e che non sarebbe più possibile staccare la spina per qualche ora all’hammam».
Una visione nostalgica per quanto meravigliosa, un paradiso perduto nella sanguinosa guerra, una Siria bucolica in mezzo alle macerie odierne.
Ciò che rimane è chiedersi se risorgerà mai dalle ceneri la Siria di quei tempi.
E non perdere la speranza.
Anna Toniolo
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