Io e Pasolini, intervista a David Grieco
La mattina del 2 novembre 1975 fu ritrovato all’Idroscalo di Ostia il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini. Secondo la versione dei fatti tradizionale, l’omicida sarebbe un giovane avvicinato dall’intellettuale alla stazione Termini di Roma, Pino Pelosi, che l’avrebbe ucciso per difendersi da un tentativo di violenza carnale. Ma è andata veramente così?
A distanza di quarant’anni, grazie anche alla riapertura delle indagini voluta dall’avvocato Stefano Maccioni, David Grieco, nel suo nuovo libro La Macchinazione, ci parla degli elementi inverosimili e poco convincenti del Caso Pasolini, che fanno pensare che dietro a questo misterioso delitto ci sia molto di più di quanto a lungo ci è stato raccontato.
David Grieco, regista, scrittore e giornalista, è stato amico di Pier Paolo Pasolini; nella speranza di rendergli finalmente giustizia, oltre al libro La Macchinazione, ha anche girato un omonimo film, che uscirà nel 2016, sugli ultimi mesi della vita di questo grande intellettuale italiano.
Cosa l’ha spinto, dopo tutti questi anni, a scrivere La Macchinazione (ed. Rizzoli) e a girare il film? Ha realizzato un progetto a cui pensava da tempo o si tratta di un’idea recente?
Pier Paolo Pasolini mi accompagna da tempo, ha orientato la mia vita più di chiunque altro, ma il libro e il film che si intitolano La Macchinazione sono nati per caso. Il regista americano Abel Ferrara voleva che io gli scrivessi la sceneggiatura del suo film su Pasolini e io, incontrandolo, mi sono reso conto che lui avrebbe fatto il film più sbagliato che si potesse fare. L’indignazione che ho provato è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Mi sono rifiutato di lavorare con lui, ma dopo alcuni giorni ho pensato che dovevo fare qualcosa io, se non altro per ripagare Pasolini di tutto quello che mi aveva dato. Ho girato il film, e mentre lo montavo la Rizzoli mi ha inaspettatamente chiesto di scrivere il libro. Non finirò mai di ringraziarli per questo libro.
Che senso ha oggi tornare a indagare e a cercare di comprendere un fatto di quarant’anni fa?
Comprendere fino in fondo ciò che è accaduto il 2 novembre del 1975 all’Idroscalo ha un’importanza fondamentale per tutti noi, e in special modo per i giovani. L’Italia è l’unico paese europeo che non è padrone della sua storia dal dopoguerra ad oggi. Senza conoscere la nostra storia, è quasi impossibile costruire un progetto futuro. Il mistero della morte di Pasolini è legato a tutti gli altri misteri, ai tanti delitti politici, alle stragi, al terrorismo, alla criminalità organizzata, al prodotto interno lordo di un paese famoso in tutto il mondo per l’omertà, la corruzione, l’intrigo e il sopruso. Se riusciremo a far affermare la verità del Caso Pasolini, tutte le altre verranno fuori. Ecco perché si continua ad insabbiare, a depistare, a negare l’evidenza.
Quali sono gli elementi principali che non convincono nel processo e nelle indagini sulla morte di Pasolini, e qual è la sua opinione su quanto sia accaduto realmente quella notte?
Il primo processo a Pino Pelosi, unico imputato per la morte di Pasolini, si concluse con la condanna di Pelosi per aver ucciso Pasolini in concorso con ignoti. Il giudice Carlo Alfredo Moro, fratello di Aldo Moro che sarebbe poi stato rapito e ucciso due anni e mezzo dopo, non credette a una parola dell’inverosimile confessione di Pelosi. Ma poi un altro processo, pochi mesi dopo, fece sparire gli «ignoti» in modo ancor più inverosimile. Credo di aver elencato nel libro tutte le menzogne che sono state raccontate in questi quarant’anni, ma forse non sono nemmeno riuscito a mettercele veramente tutte. Un libro probabilmente non basta.
Crede che riaprire le indagini potrebbe portare definitivamente alla verità? E che conseguenze avrebbe, secondo lei, sulla percezione pubblica della figura di Pasolini, che la prima versione dei fatti aveva contribuito a etichettare negativamente come omosessuale e pederasta?
Dopo i tre gradi di giudizio, solo il Parlamento può riaprire le indagini e per questo motivo è stata indetta una petizione su Change.org che invito tutti a firmare. Ma non si tratta di «riabilitare» Pasolini che non ha nessun bisogno di essere riabilitato perché è e resta il nostro intellettuale più coraggioso e più apprezzato nel mondo. Qui la posta in gioco, lo ripeto, è tutta la nostra Storia, non soltanto il Caso Pasolini. A chi etichettava ed etichetta Pasolini come «pederasta» non ho niente da dire, come non ho niente da dire a coloro che giudicano le persone dal colore della pelle o a coloro che ritengono le donne esseri inferiori all’uomo. All’ignoranza pura non si risponde per principio. E oggi ce n’è tanta in giro, molto più di cinquant’anni fa, quando gli ignoranti avevano il senso di colpa di esserlo e cercavano spesso di saperne di più. Il consumismo che Pasolini denunciava quando era ancora agli albori ci ha purtroppo ridotti così, prima felicemente ignoranti con il benessere e oggi infelicemente ignoranti con la crisi economica. Ma qualcuno, specie tra i giovani, sta cominciando a capire che la cultura può essere più importante di tutte le cose che desideriamo in modo compulsivo senza sapere nemmeno perché le desideriamo.
Chi è stato per lei Pasolini?
Pasolini è stato per me allo stesso tempo un fratello, un padre e un amico. Lui non amava le etichette. A me ha insegnato a pensare sempre con la mia testa, a non cedere mai alla banalità e ai luoghi comuni, e di conseguenza ad avere il coraggio delle proprie idee. Ho vissuto sempre così, quasi senza accorgermene, e se nel bene o nel male sono quello che sono lo devo a lui.