Di fronte alla quarantena NON siamo tutti uguali
Nel bagno di inutile retorica in cui siamo quotidianamente immersi durante questa epidemia, c’è una frase che si sente spesso: di fronte al coronavirus siamo tutti uguali. Nulla di più falso. È vero, per il virus sono morte persone di tutti i ceti sociali, ma se andiamo a guardare la maggioranza della popolazione, cioè quella che non ha il virus ed è costretta a vivere in isolamento, si scopre che questa affermazione non ha alcun senso.
Ci sono differenze sostanziali, per esempio, tra chi è costretto a rimanere chiuso in un appartamento di due o tre stanze al quinto piano di un condominio, e chi invece ha un giardino e può comunque passare del tempo all’aria aperta. Ci sono differenze sostanziali tra chi vive in una casa piccola e affollata e chi invece può tranquillamente dividersi gli spazi con le persone con cui vive, tanto spazio ce n’è.
La verità, come spesso accade, è esattamente il contrario della retorica. L’epidemia non ci ha resi tutti uguali di fronte a un’emergenza. Anzi, ha esasperato le differenze sociali tra chi vive nell’agio e chi invece ha visto ingigantite le difficoltà con cui deve confrontarsi giorno per giorno. Un’altra differenza viene dai contratti di lavoro: da una parte c’è chi si è potuto adattare allo smart working e chi invece ha perso clienti o, peggio, direttamente il posto, visto che aveva un contratto con zero tutele. Pensate che queste due tipologie di lavoratori stiano vivendo nello stesso modo la clausura coatta a cui siamo costretti da un paio di settimane?
Stare reclusi in una casa piccola, affollata e senza balconi o giardino oppure dover fare i conti con un periodo in cui i soldi non arrivano (o arrivano in misura molto inferiore) è un sacrificio necessario per il bene della salute pubblica? Chi scrive pensa di sì, ma questo non può autorizzarci a far finta che queste differenze non esistano.
A questo punto suonano piuttosto inopportuni gli slogan utilizzati per sponsorizzare l’«io resto a casa». Tipo il discorso di Fiorello: «Si sta tanto bene sul divano, guardate come sto sereno io». A stare serena è di certo una persona che vive in un appartamento abbastanza grande e che riceve comunque il suo stipendio, ma il messaggio suona a dir poco beffardo a chi vive in una casa affollata e si sta chiedendo come potrà arrivare alla fine del mese, o che fare il mese prossimo.
La retorica inquina qualunque cosa tocchi. Cerchiamo di essere realistici. State a casa anche se è un sacrificio enorme, anche se siete preoccupati per un lavoro perso, anche se siete spaventati per quello che succederà dopo l’epidemia. State a casa perché se non vi sacrificate anche voi che patite di più questa situazione, tra un po’ potremo raccogliere i cocci del nostro Sistema Sanitario Nazionale. Permettetemi lo statalismo ma questo sarebbe un problema più grande dei sacrifici che anche voi che vivete situazioni di disagio dovete fare.
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia