Dire che abbiamo bisogno dei migranti è un insulto

«Abbiamo bisogno dei migranti» è una frase che riecheggia sempre più spesso in Italia, pronunciata da personaggi in vista che intendono difendere la bontà dei flussi migratori, in particolare a seguito della stretta sull’immigrazione irregolare messa in atto nelle ultime settimane dal Governo.

Tra i padrini di questa massima troviamo il Presidente dell’Inps, Tito Boeri, il quale l’ha ripetuta in svariate occasioni, evidenziando che: «Gli immigrati che arrivano da noi sono sempre più giovani: la quota degli under 25 che cominciano a contribuire all’Inps è passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015», corrispondenti a «150mila contribuenti in più ogni anno. Un dato, ha fatto rilevare, in grado di’compensare il calo delle nascite nel nostro Paese, la minaccia più grave alla sostenibilità del nostro sistema pensionistico, che è attrezzato per reggere ad un aumento della longevità, ma che sarebbe messo in seria difficoltà da ulteriori riduzioni delle coorti in ingresso nei registri dei contribuenti rispetto agli scenari demografici di lungo periodo». Effettivamente, il problema demografico, già trattato qualche mese fa su questo blog, sussiste in Italia, un paese dove c’è un’elevata possibilità di raggiungere la tarda età, ma dove nascono sempre meno bambini. Il risultato, evidentemente, è che il ricambio generazionale tra chi entra nel mondo del lavoro e chi giunge, purtroppo molto tardi, al termine della propria carriera diventa di anno in anno più difficoltoso, minando la tenuta del nostro sistema pensionistico.

Tuttavia, considerare l’immigrazione come la soluzione alla suddetta crisi è a tal punto irrispettoso nei confronti dei soggetti coinvolti che ci si domanda come soprattutto chi ha a cuore le sorti dei più deboli possa accoglierla con favore. Infatti, in questo scenario, i migranti sono visti alla stregua di pedine che, a nostro piacimento, in caso di impellente necessità di capitale umano, possono essere dislocate dal loro luogo originario a uno nuovo. Pare non ci si curi del fatto che si tratta di esseri umani che, non fossero state create intenzionalmente da terzi condizioni esistenziali sfavorevoli nella loro patria, magari avrebbero continuato ad abitare lì con molta gioia, invece di doversi sradicare dalla terra natia per venire qui a «pagarci le pensioni».

Un altro esponente favorevole a questa linea è il mancato premier Carlo Cottarelli. Egli, durante un’inconsueta intervista rilasciata Radio Rock 106.6 in cui si è anche cimentato in una bizzarra prova canora, ha dichiarato: «Siamo un Paese che ha bisogno di un’immigrazione regolare e sono anche a favore dello ius soli”. E ancora: «Basti pensare a tanti lavori nella Pianura Padana, come chi munge le mucche. Questi lavori non li fanno più gli italiani, quindi abbiamo bisogno di qualcuno che li faccia». Di nuovo, le persone che immigrano in Italia sono ritenute esclusivamente delle risorse economiche: non sfiora minimamente questi signori il pensiero  che questi individui si sono sentiti costretti ad allontanarsi da casa loro, che questa è un’indicibile disgrazia, un fallimento della politica mondiale: nessuno dovrebbe essere messo di fronte a una scelta così dolorosa e vedere- pure la beffa- che qualcuno si avvantaggia della propria disavventura, dicendolo anche apertamente.

Se è un insulto per i migranti, lo è anche per tutti gli italiani, come al solito colpevolizzati dalla narrazione dominante. Infatti, se non vengono messi al mondo molti bebè, la responsabilità ricade sui giovani «bamboccioni», «choosy» che non riescono a rendersi indipendenti e crearsi una famiglia propria. D’altronde, con la vastità di impieghi stabili e ben retribuiti che il mercato offre (un plauso al Decreto Dignità, primo passo nella lotta al precariato), bisogna proprio essere dei mammoni incapaci per non decidere di figliare e risollevare il Paese da questa tragica crisi demografica.