Disabilità: l’arretratezza italica

Che il 3 dicembre fosse la giornata delle persone con disabilità l’ho appreso su internet, la mia giornata è stata perfettamente normale. Non che mi aspettassi chissà cosa, certo non una torta, visto che non siamo eroi, né tanto meno eletti. Invece sembra che qualcosa si stia muovendo, un po’ come la rotazione terrestre, che non la avverti (quasi mai), ma Cecilia Alfierc’è: sembra che l’Unione Europea si stia muovendo nella giusta direzione, per una volta. È stato pubblicato il testo della nuova legge europea sull’accessibilità. Aspetto di vederne gli effetti, in attesa che passi tutto l’iter che è necessario. Tuttavia, volevo giusto avvisarvi che ci sono certe cose, forse le più importanti. Per esempio, evitate di parcheggiare la macchina nei posti riservati o davanti agli scivoli dei marciapiedi; evitate di fissarci come se fossimo alieni; rispondete ai vostri figli se fanno domande. Nessun governo ci può imporre di essere umani, eppure è talmente semplice, quasi banale. Non ho letto il testo della legge, ma c’è una parola, «accessibilità», che ricorre spesso. Ma esattamente cos’è? Di cosa stiamo parlando? So che non dovrei essere autobiografica, ma vi racconto un paio di vicende fra loro simili che mi sono capitate in questi ultimi giorni.

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Al Bo, storico palazzo universitario padovano, la maniglia del bagno «attrezzato» semplicemente non esiste, l’ho scoperto a mie spese, durante un seminario di storia, mi sono arrangiata, agganciandomi al termosifone caldo, non vi dico che mani bollenti avevo una volta uscita. L’ultima vicenda è fresca, fresca, proprio di questo ponte: ero a un torneo di scacchi.È chiaro che è permesso ai giocatori di andare al bagno (senza telefoni o dispositivi elettronici, ma questo è un altro discorso). Dunque, l’unico bagno attrezzato per disabili era quello dei maschi! E non solo, era l’unico bagno dei maschi! Vi lascio immaginare la situazione, inoltre il maniglione che avrebbe dovuto facilitarmi le cose era troppo lungo (il ché mi crea fastidiosi problemi di trasferimento dalla carrozzina) e troppo «sospeso», nel senso che non aveva il muro davanti, rischiavo di scivolare e intanto la gente bussava e il tempo sull’orologio degli scacchi andava, mangiandosi i miei preziosi minuti di riflessione. Sono uscita dal bagno e ho chiesto all’arbitro di usare il bagno riservato al personale di servizio (richiesta inutile, visto che tutti quanti lo usavano lo stesso, tutto sto personale di servizio c’era?).L’arbitro ha annuito e mi ha accompagnato. Dentro l’arredamento era normalissimo, un water, un lavandino, un termosifone con delle scope appoggiate. «Sei sicura di farcela?», mi domanda l’arbitro. Mi brillano gli occhi, tutti si lamentano che fa freddo in bagno, a me il termosifone spento sembra quasi un sogno, un’opportunità, rispetto al Bo. «Certo», rispondo. E così ce l’ho fatta. È assurdo tutto ciò, è assurdo che un termosifone valga più di una struttura che per legge dovrebbe facilitare la vita. Bisogna riconoscere che dati i difetti fisici diversi di ciascuno dei non camminanti è quasi impossibile trovare un bagno che soddisfi tutti, però, signori, un po’ di buon senso!