«Perché ho deciso di diventare prete»
«Sono entrato in seminario 3 anni fa, a 24 anni. Non è stata una scelta facile, anzi, tutt’altro! A 17 anni sentivo dentro di me qualcosa di diverso, sentivo di essere vicino a Dio, di trovare felicità nella mia fede. Ma in quel momento della mia vita non ho voluto dare ascolto al cuore, ho deciso di vivere la mia vita come tutti i ragazzi della mia età e per molti anni ho accantonato quel desiderio insito nel mio cuore. Tre anni fa, una domenica, ho ricevuto un segno e una voce dentro di me gridava fortissimo e non potevo non ascoltarla: dovevo entrare in seminario. Ho abbandonato tutta la mia vita, amici, gite in montagna, ragazze e mi sono buttato in questa avventura, perché è così che la chiamerei».
Daniele è un ragazzo di 27 anni che da seminarista sta percorrendo il cammino per diventare sacerdote. Parlo con lui e non riesco ad immedesimarmi nella sua vita, non riesco a concepire come in una società come quella in cui viviamo, in un mondo che ci offre sempre più possibilità, un ragazzo possa decidere di lasciare tutto e «rinchiudersi» in seminario. Gli faccio domande a raffica, taglienti e curiose, voglio sapere.
Gli chiedo allora cosa intende per vocazione, come fa una persona a capire che Dio lo sta chiamando e mi risponde che è chiaro, che non ti puoi sbagliare, senti che è la tua strada come qualcun altro può sentire la vocazione di essere medico, giornalista, avvocato o di avere una famiglia. Questa affermazione scatena un’altra cascata di interrogativi, non mi spiego come si possa decidere così in anticipo di non dare la vita, di non essere padre. Daniele non esita, è sicuro di quello che dice e afferma «dopo lunghe riflessioni con il mio spirito ho sentito che non sono portato per la paternità biologica, ma desidero molto di più, desidero essere padre di una comunità ad un livello più alto di quello fisico, essere il padre spirituale di più di una persona è la mia strada». Come sei riuscito ad abbandonare la quotidianità degli amici e del «privato» per iniziare a vivere in una comunità? Sei circondato da persone che non conoscevi ma che condividono con te una fede che domina le vostre vite. Non è stato facile e tuttora non lo è: «Quando sono le dieci di sera e vorresti dormire, puntualmente il tuo vicino di camera fa una telefonata e parla con un tono di voce che non ti lascia dormire; oggi hai voglia di pizza, ma la cucina propone minestrone; i tuoi amici si lamentano che non li chiami mai, ma non c’è tempo; la domenica non vai in montagna con la tua Vespa, non vedi le ragazze. Un po’ ti pesa, siamo umani, ma capisci che quello che senti dentro, che il tuo amore per Dio è più grande di ogni altra cosa, che la fede che ti esplode dentro ti farà superare tutto ed è questo che ti aiuta e, nonostante i più non lo capiscano, è proprio questo che mi dà felicità».
Concludiamo la nostra conversazione, non riesco ancora a comprendere a pieno le sue sensazioni e i suoi progetti di vita; non lo capisco fino in fondo ma lo rispetto. Ci vuole coraggio, ha avuto coraggio, perché in una società discriminante e giudicante scegliere la religione come baluardo della propria vita è una scelta d’impatto, che richiede tutto. In una società che si definisce sempre più libera, forse è ora di cominciare a capire le motivazioni delle scelte altrui, che magari non sono poi così male.
Anna Toniolo
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