Domenico Maurantonio: il gossip nella tragedia

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Ieri mattina ero al funerale di Domenico Maurantonio, il ragazzo diciannovenne padovano morto precipitando dal quinto piano di un albergo di Milano mentre era in gita scolastica in circostanze ancora tutte da chiarire. Ero al funerale «in borghese», per così dire, visto che conosco da anni Antonia, la mamma, insegnante nel mio ex liceo; così ho potuto notare, rimanendo all’esterno della chiesa gremita, un modus operandi che mi ha reso alquanto perplesso. Sto parlando del comportamento dei giornalisti i quali, nonostante l’esplicito invito della famiglia a rimanere sul sagrato durante le esequie, hanno aggirato questa limitazione accalcandosi – con fare piuttosto invadente e fastidioso – sulla porta armati della loro videocamera o del loro iPad. La Voce che Stecca si è battuta più volte per il diritto/dovere di cronaca e queste mie parole potrebbero inizialmente sembrare alquanto incoerenti, ma non lo sono: il funerale di Domenico non era una notizia: avrebbe potuto esserlo se il parroco o uno dei presenti avesse per ipotesi urlato «Io so cos’è successo a Milano!» oppure fosse successo un fatto clamoroso, non è una notizia invece un funerale «normale», se così si può chiamare una tragedia di questa entità. I casi che abbiamo preso come esempi di notizia sarebbero stati uno scoop ma, visto che si tratta indubbiamente di circostanze alquanto improbabili, cosa costava – anche per i reporter televisivi – entrare in chiesa, ascoltare, annotare e poi riportare? La verità è che, anche in mancanza della notizia, la cerimonia andava filmata per un semplicissimo motivo: il pubblico vuole vederla.
Lasciamo stare il funerale e concentriamoci sull’accozzaglia (ben descritta da un articolo di Carmelo Abbate su Panorama) di informazioni su Domenico che ci bombardano da domenica scorsa: il dramma di tv e giornali è di non avere niente da dire sull’argomento col dubbio che il concorrente invece abbia scoperto qualcosa di nuovo. Questa è informazione o libero mercato che ha scordato la funzione sociale dell’informazione? Siamo tutti d’accordo che giornali e tv sono aziende che devono guardare anche al proprio bilancio, ma è giusto pensare alle vendite quando si parla del dolore di una famiglia? Parlare del caso è giusto e doveroso, io stesso senza i giornali non avrei mai saputo della tragica morte del figlio di una persona a cui voglio bene; ma quando si travalica il limite della notizia e si arriva nel pessimo gusto e nella perdita del mestiere? Difficile a dirsi, spetterebbe alla coscienza di ognuno di noi; ma come si può scegliere quando si tratta di un ordine del direttore della testata e in ballo c’è il tuo lavoro? Ci vuole coraggio.
Non vogliamo parlare oltre dei rapporti quasi schiavistici che alcuni giornali mantengono con i propri collaboratori (fortunatamente ci sono non poche eccezioni); vogliamo piuttosto concentrarci sul frenetico susseguirsi di ipotesi, smentite, bufale e emerite cazzate apparse sui giornali e in tv dopo la morte di Domenico. Siamo stati accusati noi, con il mio corsivo di giovedì, di essere dei «coglioni», degli «irresponsabili» che non fanno informazione e che speculano sulla morte di un ragazzo. Mai illazione fu più offensiva ma, come ci ha saggiamente detto una collega di fronte alla nostra delusione, «non si può piacere a tutti». Evidentemente c’è qualcuno a cui piace vivere nel «probabile» e nel mondo delle balle renziane. Perdonateci l’inciso autobiografico ma credo sia doveroso rispondere ai tanti (una minima parte delle migliaia di mail sul corsivo) che ci hanno contestato. Dicevamo: giornali e tv (con la collaborazione anche di solerti dipendenti statali pronti a parlare a sproposito) hanno riempito le loro pagine e i loro minuti di cronaca con servizi (molto spesso «fotocopia» da una testata all’altra) sulle indagini, articoli che quasi sempre non aggiungevano assolutamente nulla a quanto già detto. Si è frugato nelle pagine facebook dei parenti di Domenico, della sua migliore amica, dell’ex fidanzata; alcuni giornalisti hanno persino cercato di infiltrarsi a scuola per fotografare il banco con i fiori sopra. Un noto quotidiano (e le altre testate del gruppo editoriale a cui appartiene) ha pubblicato una fotogallery del funerale. Ma ci rendiamo conto? Il problema è che la perdita del buon gusto deriva da un’offerta dovuta ad una domanda, in altre parole se un’azienda propone qualcosa è perché una buona parte dei clienti la desidera. A questo punto sorge un dubbio: non è che i giornalisti sciacalli sono una conseguenza dei lettori sciacalli?