Dopo lo sfregio al Parlamento da parte di Johnson, la Costituzione italiana potrebbe insegnare qualcosa agli inglesi
Dopo il Ferragosto di fuoco della crisi di governo italiana, l’autunno sembra prospettare scenari se non idilliaci senza dubbio più tranquilli, permettendo agli italiani di tirare finalmente un sospiro di sollievo e godersi così il neonato esecutivo. A dover affrontare un ritorno alla routine più tragico del solito sarà invece il Regno Unito che, tra attentati alla costituzione da parte del premier Johnson e l’avvicinarsi della scadenza per l’uscita dall’Unione Europea, non potrebbe trovarsi in situazione peggiore.
Fino ad agosto che i due leader di spicco della scena politica dei due Paesi non fossero così diversi era un dato di fatto ed in fin dei conti il timore che l’onda delle nuove forze sovraniste e populiste potesse affermarsi definitivamente in entrambi i casi non era certo ingiustificato. Salvini da un lato e Johnson dall’altro hanno portato avanti per mesi una politica in esplicito contrasto con le istituzioni nell’astuto tentativo di accaparrarsi il sostegno del popolo in lotta con le elité. L’ironia della sorte ha voluto che, nel pieno delle loro azioni più audaci, entrambi siano caduti vittime di quelle stesse istituzioni, primo fra tutti il Parlamento, che nei mesi precedenti avevano denigrato e ignorato. Una differenza in questo caso però c’è: se in Italia il freno a Salvini l’ha imposto la Costituzione, affidando al Presidente della Repubblica la trattativa per la formazione del nuovo governo, nel Regno Unito non c’è stato alcun pezzo di carta a fermare il premier che ha firmato da solo la sua condanna.
All’indomani dell’annuncio di una sospensione dell’attività parlamentare nel Regno Unito, non sono mancate certo le perplessità di chi oltremanica ha interpretato quello di Johnson come un atto incostituzionale e di fatto di questo si tratta. Per assurdo però, nella patria del liberalismo, ciò che è incostituzionale non è da considerarsi automaticamente illegittimo. È dunque evidente come un simile sistema politico, quale è quello obsoleto della common law britannica, si presti alle più avventate manovre finendo per far passare come legittimo anche quello che potrebbe a tutti gli effetti essere ritenuto un colpo di Stato.
Una domanda a questo punto sorge spontanea: come può sopravvivere una democrazia basata su una costituzione tanto debole da potersi piegare di fronte alla spregiudicatezza del premier di turno senza che si possa parlare di illegittimità? Se si considera che così facendo Johnson ha di fatto istituito un precedente per cui i governi a venire potranno screditare l’attività parlamentare a loro piacimento, allora è evidente che il primato democratico di Westminster come “madre di tutti i parlamenti” è destinato ben presto a crollare per mano dei suoi stessi figli. Per decenni i britannici hanno tessuto le lodi della propria costituzione «così bella che sarebbe offensivo, perfino pericoloso, metterla per iscritta», come ha riportato Fintan O’Toole su Internazionale, realizzandone l’insensatezza solo grazie a un opportunista come Boris Johnson, a cui si può attribuire almeno questo merito. Con la scusa di agire in nome del popolo e porre così fine all’epopea che dal 2016 tormenta il Regno Unito il Primo Ministro britannico ha messo in luce, contro il suo interesse, l’inconsistenza di un sistema politico secolare a cui la giovane Costituzione italiana avrebbe molto da insegnare.
Studentessa universitaria di Sociologia e aspirante giornalista.
Mi cimento in articoli di attualità e cultura con un occhio di riguardo per le questioni sociali.