Sì o No? Il duello: perché Tito Borsa voterà «No» al referendum?
È stato l’orgoglio a farmi raccogliere il guanto di sfida che Cecilia ha gettato ai miei piedi: ho già avuto modo di spiegare abbondantemente le ragioni del mio voto al referendum e non volevo tediarvi ulteriormente. Quindi oggi cercherò di rispondere alla domanda «Perché voto “No”?», sintetizzando il tutto.
Ho profondo rispetto verso coloro, come Cecilia, che voteranno «Sì» perché credono davvero all’utilità di questa riforma: si tratta di opinioni e nessuno prevede il futuro, quindi abbiamo tutti la stessa dignità. Non rispetto chi invece voterà «Sì» o «No» senza entrare nel merito della riforma, perché in questo modo affida il proprio voto alla bravura degli istrioni della politica.
Ma adesso entriamo nel vivo del discorso. Non boccio in toto la riforma costituzionale: ci sono parti, come l’abolizione del Cnel e la riduzione del numero dei parlamentari, che apprezzo; ma, dovendo fare un bilancio fra le cose che mi piacciono e quelle che non mi piacciono, queste ultime sono molto più numerose. Ed è proprio dei difetti che parlerò.
Non mi piace che ci verrà tolta la possibilità di votare direttamente i senatori, come non mi piace il porcellum, la legge elettorale con cui siamo andati alle urne nel febbraio 2013 e che prevedeva le liste bloccate. Da cittadino pretendo di scegliere chi mandare a Palazzo Madama e a Montecitorio, non solo il partito e nemmeno mi accontento di dare un parere consultivo ai consigli regionali se dopo scelgono loro.
Non mi piace il modo in cui viene superata la legislazione concorrente fra Stato e Regioni: sono d’accordo sulla divisione delle competenze ma non sono assolutamente favorevole alla «clausola vampiro», tecnicamente «clausola di supremazia statale», ossia quella che permette al Governo (basando la scelta su criteri tutt’altro che oggettivi) di far intervenire la legislazione statale anche in materie di competenza esclusiva delle Regioni. L’indebolimento di queste, come spiega la costituzionalista Alessandra Algostino, «comporta il venir meno di un altro contrappeso, di un altro elemento di separazione, questa volta in verticale, dei poteri, ovvero un altro tassello in un disegno accentratore».
Non mi piace che in nome della «stabilità» ogni mezzo sia giustificato: la doppia fiducia data da Camera e Senato mi sconvolge fino a un certo punto perché soltanto due governi su 63 sono caduti per crisi parlamentari (non avendo cioè ottenuto la doppia fiducia) ossia i due di Romano Prodi; e poi la prima repubblica è stata indubbiamente stabile, nonostante 48 governi in neanche 50 anni, perché per 35 anni ha governato incontrastata la Dc. E dobbiamo ricordarci che l’Italia è una repubblica parlamentare e quindi la centralità è del potere legislativo, in quanto esercitato dal parlamento. Rendere più stabile l’esecutivo è forse qualcosa che modifica non tanto la struttura delle istituzioni, bensì il sistema di pesi e contrappesi che ne permette il sereno esercizio.
Non mi piace inoltre non sapere quanti itera legislativi produrrà questa riforma: c’è chi dice 7, chi dice 10, chi addirittura parla di 13. Questo dà l’idea del caos che, a mio personalissimo avviso (e non solo mio), creerà la riforma costituzionale.
Non mi piace che i nuovi senatori avranno l’immunità perché saranno votati per essere consiglieri regionali e sindaci e nessun cittadino avrà voce in capitolo per promuoverli a senatori. Elezioni di secondo livello ce ne sono già nel nostro sistema, però con meno spazio fra l’elezione diretta e quella successiva.
Voterò «No» sicuro che non succederà niente di drammatico: il governo Renzi deve rimanere in piedi perché il referendum non è su di lui, l’Italia continuerà a valere poco nei confronti internazionali, e i problemi del nostro paese continueranno a essere altri rispetto alla Costituzione.
Leggi l’articolo di Cecilia Alfier sul «Sì» e decidi chi ti ha convinto di più.
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia
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