Economia: la spiegazione, tra bail-in e Monte Paschi

«Un paracadute pubblico è una misura molto utile, ma deve essere presa d’accordo con la Ue e specialmente con la direzione generale concorrenza della Commissione», così diceva Mario Draghi, presidente della Bce, il 21 luglio in conferenza stampa, sottolineando ciò che tutti pensavano già da un po’: senza un intervento pubblico che aiuti le banche a smaltire i crediti deteriorati, i cosiddetti «non performing loans», il settore bancario rischia di collassare trascinando con sé i molti risparmi che i piccoli investitori italiani hanno messo da parte negli anni.
Ma cosa sono queste sofferenze e come danneggerebbero gli italiani?

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I «non performing loans» sono crediti ormai inesigibili da parte delle banche, ovvero sono soldi che non esistono più e che la banca non potrà più avere: nella pratica corrispondono a ingenti perdite.
Queste perdite si possono pensare come un buco nero nei bilanci delle banche, e questa voragine rischia di portare gli istituti italiani ad avere grossi problemi nel proprio bilancio. Nella pratica si può assumere che la banca sia come una azienda a cui i creditori non pagano più il dovuto. Se questi debiti possono essere arginati, la nostra azienda può continuare a sopravvivere, altrimenti è costretta al fallimento. Ecco, questo è esattamente il timore del governo italiano dopo aver sottoscritto il «bail-in», norma europea che impedisce ai governi di aiutare le proprie banche con i soldi di Stato, come si era sempre fatto in precedenza, e vede invece costretti a pagare, seppur in ultima ipotesi, i correntisti. Infatti secondo il «bail-in», se un istituto bancario rischia di fallire, il passivo dev’essere colmato prima dagli azionisti, poi dagli obbligazionisti subordinati,  dagli obbligazionisti «senior insecured» 
e infine dai correntisti più ricchi (ovvero quelli con un conto corrente oltre i 100mila euro), anche se quasi sempre i risparmiatori hanno un trattamento preferenziale e vengono «sfruttati» solo come ultima spiaggia. Un problema evidente per i risparmiatori italiani e i piccoli investitori che nel nostro paese detengono circa metà di tutte le obbligazioni bancarie subordinate.
Ma come è possibile che l’Ue abbia applicato regole così restrittive e rovinose
? Semplice, secondo Bruxelles una banca deve venire considerata come un’azienda, e, come tale, se va in perdita a rimetterci devono essere i suoi azionisti: del resto se si decide di investire i propri risparmi in obbligazioni bancarie, questo non può non comportare in ogni caso un rischio. Fino a prima del «bail-in» lo Stato «rimborsava» le perdite alle banche, ma per l’Europa questo è inaccettabile, giacché sarebbe come se ogni investitore potesse giocare al casinò i propri risparmi senza preoccuparsi di eventuali perdite.
Ma vista la difficile situazione finanziaria ci sono alternative se la situazione dovesse peggiorare? Fortunatamente la risposta è affermativa.
La prima alternativa è l’articolo 32 della direttiva europea che permette di ricapitalizzare la banca in difficoltà con fondi pubblici senza che questa venga messa in risoluzione, permettendo così l’applicazione di un «mezzo bail-in», facendo sì che a contribuire alla risanazione siano solo azionisti e obbligazionisti subordinati. Purtroppo questa via di uscita provocherebbe comunque un ingente perdita per i risparmiatori italiani, e a livello politico comporterebbe quasi sicuramente un clamoroso autogol per il governo attuale.
L’altra soluzione sarebbe quella della Comunicazione bancaria emessa nel 2013 dalla Commissione europea che, al punto 45, sancisce che è permesso limitare ulteriormente o sospendere il provvedimento del «bail-in» se anche l’alternativa espressa nell’articolo 32 mettesse in pericolo la situazione finanziaria dell’intero paese: ovvero se si verificasse lo scenario del «Bank run», cioè una corsa agli sportelli analoga a quella greca dello scorso anno.
In pratica l’unica mossa possibile del governo italiano in questo complesso scacchiere è quella di cercare di convincere gli altri paesi che se non si concede una deroga per l’Italia gli effetti potrebbero essere devastanti.
Tuttavia è lecito chiedersi se quest’ultima soluzione sia quella adeguata per affrontare il problema. Innanzitutto non è certo che la maggior parte degli obbligazionisti subordinati siano completamente all’oscuro dei rischi del loro investimento, né che tutti i clienti siano stati truffati dai propri istituti di credito. Questo ci fa sorgere la domanda se sia giusto allora che lo Stato paghi anche per chi ha deciso di rischiare con i propri soldi, e se non sia forse sensato applicare il «bail-in» e restituire i soldi solamente alle vittime dell’eventuale frode.
In questi giorni l’istituto bancario che preoccupa maggiormente l’Italia è Monte Paschi di Siena, che si trova un enorme macigno nel proprio bilancio composto da 200 miliardi di sofferenze, ovvero circa 83 miliardi netti di crediti inesigibili, che minacciano la sopravvivenza della banca.
Fortunatamente in questi giorni è arrivato il nullaosta da parte dell’Eurotower per il piano di salvataggio di Mps. La soluzione consiste nella vendita di 9,7 miliardi di crediti deteriorati netti, ovvero un ammontare di 27 miliardi lordi su un totale di 47 miliardi. Ma a chi saranno ceduti questi «non performig loans»? Ad Atlante 2, ovvero la seconda versione del fondo d’investimento alternativo creato appositamente per aiutare la ricapitalizzazione degli istituti finanziari italiani, che contribuirà con una donazione di 3 o 4 miliardi. Ieri la Bce ha dato il via libera al piano sulle sofferenze e sull’aumento di capitale.
E chi contribuirà? I sottoscrittori del nuovo fondo saranno Atlante 1, con il versamento di 1,2 miliardi, Adepp, ovvero l’Associazione degli enti previdenziali privati, che contribuirà inizialmente per 500 milioni, la Cassa depositi e prestiti, con altri 500 milioni, Sga Banco di Napoli, con 500 milioni, e le assicurazioni Unipol e Generali con altre banche come Unicredit, che verseranno il rimanente.
Inoltre per Mps si avrà anche un aumento di capitale di circa 5 miliardi di euro: molto di più di quanto ne vale la banca, ovvero quasi sei volte superiore dell’attuale valore di Borsa di Monte Paschi.
E queste soluzioni stanno funzionando? Ancora non si può prevederlo: questo solo il tempo ce lo potrà dire. Di positivo vi è che il 27 luglio Mps è volata in Borsa crescendo del 2,66 per cento circa, e questo fa ben sperare per il futuro.
Lorenzo Codogno, che è stato il capo economista del M
inistero del Tesoro e oggi insegna alla London School of Economics ed è fondatore e capo economista della società di consulenza finanziaria LC Macro Advisors, ha detto in un’intervista al Fatto Quotidiano del 5 luglio 2016 che «purtroppo l’Italia rimane un paese esposto, vulnerabile, finché non sarà ridotto il debito pubblico e risolti i problemi delle banche» e che «prima si riduce l’incertezza, prima si può parlare di crescita futura».