Elezioni italiane e lex monetae
La notte del 4 marzo, alla prima proiezione del Senato, abbiamo fatto tutti un sobbalzo. Il segnale del popolo italiano è stato nettissimo: si è concretizzato il voto più anti-establishment d’Europa, che ha visto la crescita esponenziale del Movimento 5 Stelle e della Lega, forze politiche critiche sulla costruzione europea e sulle politiche economiche che tendono sempre più a limitare l’intervento dello Stato nell’economia, in piena ottica liberista. Ci sono alcuni segnali che, se appositamente concatenati, formano un puzzle davvero interessante.
Il crollo del PD, il partito che ha incarnato, nelle sue diverse versioni (DS, L’Ulivo e PD), a partire dall’inizio della Seconda Repubblica il sogno europeo e la delusione di +Europa della Bonino sono due fattori fondamentali.
La pronta reazione di Draghi, il quale ha nuovamente posto il fattore d’irreversibilità dell’Euro, senza capire che ciò che è irreversibile esce da qualsiasi processo democratico; la politica protezionistica di Trump, che reagisce alle politiche mercantiliste tedesche con l’imposizione di dazi sull’acciaio, sancisce la fine della disponibilità americana a fare un grosso deficit commerciale per assorbire la domanda mondiale (deficit di 566 miliardi di $); la comparazione tra l’andamento dei titoli di Stato USA e della Grecia, che vedono un rendimento maggiore offerto da quelli americani, mostra una distorsione del mercato enorme, destinata a terminare con la fine del QE; ci troviamo,inoltre, verso la fine del mandato in BCE di Mario Draghi, con voci sempre più insistenti che vorrebbero come suo successore il tedesco Weidmann, temuto specie per la sua dichiarazione di voler rimuovere il trattamento privilegiato dei titoli di Stato nel portafoglio delle banche.
Cosa succederebbe se lo scenario disegnato da Weidmann si avverasse? Le banche italiane si ritroverebbero a doversi ricapitalizzare per dar copertura ai titoli di Stato detenuti o, in alternativa, dovrebbero scaricarli nel mercato, facendoci ritornare in una condizione simil 2011, ma ben più amplificata.
Ecco perché è utile parlare di Lex monetae. Si fa spesso disinformazione parlando di carriole o di debiti da onorare in Euro, nonostante il cambio di valuta, ma non è così.
Con Lex Monetae intendiamo il principio regolato dal nostro ordinamento giuridico tramite il Codice Civile, dall’articolo 1277 e seguenti. Probabilmente in caso d’uscita dell’Italia dall’eurozona quest’area valutaria non armonica salterebbe nel suo complesso, quindi quest’articolo di fatto non verrebbe applicato. Poniamo quest’ipotesi piuttosto particolare, ovvero un’uscita unilaterale dell’Italia senza deflagrazione dell’Eurozona. In questo caso si dovrebbe far riferimento all’articolo 1278: «Se la somma dovuta è determinata in una moneta non avente corso legale nello Stato, il debitore ha facoltà di pagare in moneta legale, al corso del cambio nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento». Questo contratto potrebbe quindi essere onorato sia in Euro che in Nuova Lira.
L’uscita avverrebbe mediante un decreto legge che andrebbe a far riferimento a un’altra norma, l’articolo 1281, che pone l’accento su delle leggi speciali. All’interno del decreto, il governo andrebbe a porre come giorno di riferimento quello del cambio di valuta da Euro a Nuova Lira, andando di fatto a salvare i debitori dalla svalutazione.
Per quanto riguarda i soggetti aventi un mutuo, c’è da ricordare che i tassi fanno riferimento all’Euribor, che è semplicemente una media delle transazioni avvenute tra le banche europee.
Alcuni economisti, occupandosi principalmente di ridenominazione del debito pubblico, separano tra titoli di Stato pre e post clausola CaC, sancita da un decreto del governo Monti, ma il confronto su quest’interessante tematica è ancora in aggiornamento.
Simone, ventottenne sardo, ha vagato in giovanissima età per il Piemonte, per poi far ritorno nell’isola che lo richiamava. Ama scrivere su tematiche politiche ed economiche. Legge per limitare la sua ignoranza.