Elezioni, vincitori e vinti: avanza l’area antimercatista
A due giorni dalle elezioni politiche è possibile affrontare una riflessione a freddo sui risultati delle urne, consapevoli delle enormi difficoltà che si incontreranno nella formazione del nuovo governo.
Innanzitutto il dato più significativo e atteso è che, numeri alla mano, nessun partito ha la maggioranza per governare.
Per l’intellighenzia del Paese questo risultato rappresenta una disgrazia, ma l’intellighenzia del Paese è la stessa che ha creato e alimentato l’attuale maggioranza antimercatista dominante.
Quindi, quella che pare essere una disgrazia in realtà non lo è affatto.
Sarà semmai il caso di lodare questa legge elettorale e il bicameralismo perfetto, che almeno in questa circostanza sono riusciti a impedire alle forze antimercatiste di raggiungere da sole il governo pur avendo un consenso aggregato attorno al 60% dell’elettorato.
Passando ora agli sconfitti illustri di queste elezioni, non si può non partire da Renzi.
Sul punto è il caso di sgomberare il campo da qualsiasi fraintendimento. A perdere queste elezioni è stato per l’appunto Matteo Renzi, non anche il Partito Democratico che, reincorporando i fuggitivi e prima ancora eliminando la causa della debacle, potrà tornare tranquillamente sulle percentuali che gli competono.
L’altro grande sconfitto di questo turno è certamente Silvio Berlusconi. Il tycoon di Arcore è forse il vero grande sconfitto di queste elezioni.
Se infatti Renzi perde la guida del Pd, Berlusconi perde la guida del centrodestra e in prospettiva l’intero partito, che con ogni evidenza verrà prosciugato progressivamente dalla Lega di Salvini.
Arriviamo quindi alla sinistra, rappresentata da Leu e Potere al Popolo.
In questo caso le ragioni della sconfitta sono evidenti: l’elettorato anticapitalista dal 1989 in poi ha con ogni evidenza mantenuto le istanze economiche sottostanti radicali, ma ha cambiato completamente i suoi punti di riferimento, trovando la sua casa perfetta nel M5S, ovvero in un movimento vagante e per certi versi camaleontico. Se ne riparlerà insomma dopo la fine dell’esperienza grillina.
Veniamo quindi ai vincitori. I numeri dicono M5S e Lega Nord e questo dal punto di vista puramente elettorale è certamente corretto.
Ma il vero vincitore è in realtà il blocco culturale ed elettorale antimercatista.
Badate bene, antimercatista, non anticapitalista, ossia il blocco contrario al libero mercato in tutte le sue forme che, a ben vedere, non rappresenta certo una novità, almeno non nel nostro Paese.
L’Italia del dopoguerra è sempre stata spaccata tra democristiani di sinistra, comunisti e destra sociale.
Quindi da un lato un blocco culturale che si rifaceva alla dottrina della chiesa sull’economia, pertanto favorevole sì al capitalismo, ma contraria al libero mercato, dall’altro, dopo il crollo dei regimi comunisti, un elettorato che ha dovuto rottamare la pianificazione centralizzata dell’economia adottando proprio la versione antimercatista già dominante a destra. Appare evidente quindi la continuità delle mappe culturali.
Continuità culturale che la crisi economica iniziata nel 2008 non ha fatto altro che alimentare e aumentare, riducendo la consistenza elettorale delle forze pro mercato.
A chi infatti cita con ironia la dominanza dei grillini al sud, si vuole far notare che i grillini del nord, ossia i leghisti, hanno saputo vincere a man bassa allo stesso modo. E per l’appunto al nord.
Se quindi nell’analisi spiccia e superficiale della rete, il sud voterebbe M5S per avere il reddito di cittadinanza, con gli stessi parametri di giudizio dovremmo sostenere che il nord voti Lega per avere i deficit pagati da Berlino.
Ovviamente il punto è un altro: l’Italia tutta, già a maggioranza antimercatista, dopo dieci anni di crisi economica, ha votato compatta forze antimercatiste per disperazione.
Il fatto che questa disperazione sia più forte al sud è solo la logica conseguenza della crisi economica, che come ovvio colpisce maggiormente le aree e le fasce più deboli del paese e della cittadinanza.
La strada, piaccia o non piaccia, è soltanto una.
Nel momento in cui si prende coscienza dell’esistenza di un blocco culturale in grado di esprimere una consistenza elettorale variabile tra il 60 e il 70% dei voti, l’unica alternativa che si ha è semplicemente quella di farlo governare.
Verrà il paradiso degli speculatori, forse.
Ma questa è un’altra storia.