Elliot Page e il cambio di passo nel linguaggio giornalistico
Parlare di genere, di sessualità e identità di genere e, ancora, di sesso biologico e genere non è mai facile: se le nuove generazioni sembrano affrontare il discorso con maggiore spontaneità e consapevolezza, lo stesso non si può dire per chi questi termini li ha sentiti per la prima volta in questi giorni. Quando questa settimana l’attore americano Elliot Page ha fatto coming out come uomo transgender e non-binario, attivisti e membri della comunità LGBTQ+ si aspettavano i soliti strafalcioni dei giornali e i consueti errori nei pronomi ma, almeno questa volta, le cose sono andate diversamente. Come mossa da un senso di colpa collettivo, nel riportare la notizia la maggior parte delle testate giornalistiche ha infatti incluso negli articoli una breve guida all’uso corretto del linguaggio per rivolgersi a persone trans.
Benché non si tratti certo di informazioni rivoluzionarie straordinarie, il fatto che a riportarle siano siano state mezzi di informazione tendenzialmente rivolti ad un vasto pubblico di adulti, che con questo tipo di lessico non hanno di certo la stessa dimestichezza di un ventenne, ha del significativo. È un fatto rilevante perché piuttosto che porre l’attenzione su una storia privata, quella di Page, e raccontarne i retroscena, la inserisce in una riflessione più ampia sulla comunicazione e la deontologia professionale. Se è evidente che un articolo non basta per lavare i peccati del passato e che un giornale che oggi si rivolge correttamente a Elliot utilizzando il maschile mentre mesi fa scriveva di Cira e Maria Paola Gaglione, e non di Ciro e Maria Paola, non deve improvvisamente diventare il nostro giornale preferito, nello stesso modo deve essere chiaro che, nonostante tutti i se e tutti i ma, negare l’importanza degli articoli comparsi in questi giorni sarebbe da sciocchi.
Che si tratti di denunciare la narrazione tossica di un femminicidio o di puntare il dito contro chi nel rivolgersi ad un uomo trans si ostina ad usare il femminile o a chiedersi che cosa abbia tra le gambe prima di decidere a quale pronome ricorrere, l’obiettivo deve essere sempre quello di educare ad una cultura inclusiva e rispettosa e se per una volta ad occuparsene sono quelli che di solito sono nel torto, ben venga. La legge del più forte vale sempre, anche per i fenomeni culturali, ed è un aspetto da non sottovalutare: affinché una determinata cultura diventi stabile e si riproduca è necessario l’intervento di imprenditori culturali, ovvero di soggetti e istituzioni che, in virtù del loro potere e status, sono in grado di attribuirvi legittimità e di renderla accettabile ai ricevitori del sistema culturale. In altre parole: perché non si parli più di Cira invece che di Ciro, è necessario accettare che a partecipare al processo siano anche i «potenti», la cui voce raggiunge facilmente un pubblico ampio e soprattutto eterogeneo.
In qualunque modo la si voglia vedere, l’operazione comunicativa condotta dai giornali in questi giorni è qualcosa di cui essere fieri, soprattutto se si è tra chi crede che la cultura dovrebbe avere rispetto di tutti, anche di Elliot Page che per sè ha liberamente scelto i pronomi lui/loro in quanto uomo transgender non-binario.
Studentessa universitaria di Sociologia e aspirante giornalista.
Mi cimento in articoli di attualità e cultura con un occhio di riguardo per le questioni sociali.