Eutanasia: una legge imprescindibile e urgente
Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita – è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio … è lì, squadernato davanti a medici, assistenti, parenti. Montanelli mi capirebbe. Se fossi svizzero, belga o olandese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c’è pietà.
Piergiorgio Welby
Siamo nel 1998, la signora Moroni è immobilizzata da nove anni a letto a causa di una malattia: è incosciente e le sue condizioni sempre più gravi le prospettano una bassa possibilità di sopravvivenza. In una giornata di giugno, mentre si trova nel reparto di rianimazione dell’ospedale dove è in cura, suo marito fa butta fuori tutti dalla stanza.
Rimangono lui, lei e una pistola.
L’uomo stacca i tubi del ventilatore che permette alla donna di respirare artificialmente e poi chiama un operatore per confermare l’avvenuto decesso.
A quel punto infila l’anello nuziale al dito della moglie, abbraccia il corpo senza vita e si lascia arrestare. Viene condannato a 6 anni per omicidio premeditato: un uomo che amava sua moglie giudicato come un criminale.
Sono passati 17 anni da quel momento: Ezio Forzatti è stato scagionato dalla Corte d’Appello perché «non si può dire sufficientemente provato, oltre ogni ragionevole dubbio, il nesso di causalità tra la condotta di Forzatti e l’evento morte della moglie Moroni».
Il fatto però, che lo stato vitale della donna fosse stato confermato appena un’ora prima dell’evento, fa facilmente intendere che la giuria abbia disapplicato la norma penale troppo rigida che non rendeva giustizia a quello che era evidentemente un caso di omicidio pietoso.
Forzatti è libero ma, come tanti altri in questo Paese ha dovuto in solitudine e nell’illegalità trovare un modo per risolvere la grave mancanza legislativa che riguarda il tema del fine vita.
L’Associazione Luca Coscioni da tempo si batte affinché la sua legge di iniziativa popolare che riguarda il rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia possa essere discussa in parlamento ma per ora deve ancora essere presa in considerazione nonostante siano state raccolte quasi 100.000 firme e nonostante i dati Eurispes del 2015 dicano che il 55,2% degli italiani sia favorevole all’eutanasia.
Contro questa legge troviamo invece i provita, fermamente convinti che questa pratica sia paragonabile all’Aktion T4 dei nazisti che prevedeva la soppressione di persone affette da malattie genetiche inguaribili o da più o meno gravi malformazioni fisiche. Un accostamento che mette i brividi e che fa anche un po’ arrabbiare: lo scrivono nei loro blog, lo dicono in televisione ma mai una volta li si è visti rivolgersi in questo modo davanti ai tanti malati terminali che chiedono solo di morire nel modo che loro stessi ritengono più dignitoso.
Le associazioni provita affermano che la legalizzazione dell’eutanasia diventerà un modo semplice per i figli di liberarsi dei proprio vecchi genitori e riscuoterne l’eredità. Inoltre temono che persone affette da depressione momentanea o da malattie guaribili possano richiedere la «dolce morte» e che i medici preferiscano di gran lunga accontentarli al posto di curare le loro patologie.
Preoccupazioni che non possono essere prese in considerazione se si va invece a leggere per intero la proposta di legge per la legalizzazione dell’eutanasia. Tra i vari punti possiamo infatti leggere: «La richiesta sia motivata dal fatto che il paziente è affetto da una malattia produttiva di gravi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a diciotto mesi».
Serve una legge e serve subito perché senza di questa sono più di 1000 all’anno le persone che si suicidino a causa di malattie incurabili nei più svariati modi: per esempio gettandosi nel vuoto dal quinto piano dell’ospedale come fece il regista Mario Monicelli.
Serve una legge e serve subito perché purtroppo non per tutte le malattie esiste una cura e se un antidolorifico può alleviare il dolore fisico nulla può fare per il dolore mentale delle persone che ritengono che la loro vita si sia trasformata solo in un testardo e insensato accanimento per mantenere attive le funzioni biologiche.
La scienza ormai, se non riesce a curare, può comunque in molti casi “tenere in vita”: sta alla sensibilità di ognuno di noi decidere se accettare o meno quello che per alcuni è un privilegio e per altri una condanna.
A questo serve il testamento biologico e a questo serve la proposta di eutanasia legale che si può leggere e firmare nel sito www.eutanasialegale.it.
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Grande articolo. La Voce ha guadagnato una nuova eccellente firma!