Eva Di Palma, parrucca rosa contro le Sentinelle in Piedi: l’intervista
L’11 aprile a La Spezia il noto movimento delle Sentinelle in piedi organizza uno dei loro «pomeriggi di lettura» per la salvaguardia della famiglia tradizionale. Ad attenderli, una speciale ospite d’onore, Eva di Palma che, armata di parrucca rosa e libricino sui cupcakes fatti in casa, si immischia al gruppo di immobili (e oramai piuttosto infastiditi) lettori. Non ci sono, evidentemente, gli estremi per cacciarla, ma l’atto goliardico è sotto gli occhi di tutti.
Insomma, una provocazione in piena regola, ma mossa con ironica eleganza.
L’abbiamo intervistata per sapere qualcosa di più su di lei. Abbiamo discusso di Sentinelle, ma soprattutto di diritti e politica, cercando di disegnare una visione d’insieme che possa spiegare le ragioni di questo ed altri fenomeni.
Ciao Eva! Innanzi tutto ti chiederei una breve presentazione per chi non ti conosce.
Ho 28 anni e vivo a La Spezia. Dopo aver studiato giurisprudenza a Milano sono rientrata nella mia città, dove lavoro come praticante avvocato in uno studio penalistico. Giustizia, diritto e soprattutto carcere sono diventati il mio campo di interesse, al punto che l’estate scorsa, insieme ad un gruppo di amici, abbiamo fondato una Onlus, dal nome Marsia, che si occupa proprio di diritti dei detenuti e si pone come scopo (altissimo) quello dell’abolizione del carcere. Continuo a collaborare con l’università, come assistente, ma la mia vera passione è la professione forense da penalista.
Sei salita agli onori della cronaca però, più che per le problematiche legate ai detenuti, per una sorta di protesta contro le Sentinelle in piedi. Come mai hai pensato di agire in quel modo? E come mai ti sei sentita chiamata in causa, o comunque in dovere di esprimere un dissenso?
Ho deciso di agire esprimendo apertamente il mio dissenso perché stanca del messaggio retrogrado, oscurantista, povero di spirito e pesantemente ignorante prima ancora che pericoloso che vanno diffondendo. Mi sono sentita chiamata in causa né più né meno di tutte le altre volte che sono scesa in piazza per esprimere il mio dissenso, contro chi, in maniera più o meno evidente, cerca di limitare diritti altrui. Ma, dato che il vero motivo per cui le sentinelle «scendono in piazza» è quello di potersi concedere lo status di vittime, io non ho voluto far loro questo regalo, preferendo deriderli apertamente e pubblicamente, unica reazione che, a mio parere, si merita la loro posizione. Perciò, armata di un travestimento goliardico, mi sono infiltrata tra loro, prendendoli in giro con le loro stesse armi. Ciò che è chiaro ormai a molti è che le sentinelle si disinteressano silenziosamente dei diritti degli altri-da-loro, perché sanno di stare dalla parte del «giusto», del moralmente accettabile, del «conforme a natura». D’altronde, il silenzio è sempre stata la risposta degli indifferenti, di quelli che, in fondo, stanno bene, e non si metterebbero mai in gioco per il riconoscimento di diritti dai quali non potrebbe venirgli nulla in tasca. Per chi, invece, chiede diritti, il silenzio è violenza, e il silenzio delle sentinelle è fortemente violento, reazionario, provocatorio, a tratti intimidatorio, nutrito di ignoranza e del fanatismo tipico di chi vuole mantenere limitati i diritti altrui. Per ammutolire gli avversari si fanno bandiera di una non meglio definita «libertà di espressione» (sic!), impiegando terminologie colorate da correttezza formale e superficiale che nascondono convinzioni di inferiorità.
Ma come spiegheresti che la loro argomentazione sulla libertà di espressione sia fallace? Dopo tutto, la loro è una protesta non violenta ed è complicato poter asserire che qualcuno non possa pensarla in un certo modo.
L’esimio portavoce delle sentinelle spezzine ha asserito che la ratio del gruppo è quella di «non [volersi] omolog[are] al pensiero unico dell’ideologia del gender». Tante sciocchezze raggruppate in una sola frase non possono che renderla pruriginosa. Questa preoccupante ideologia, il cui scopo, stando a quanto riportato dall’Osservatore Romano e da fonti altrettanto autorevoli, sarebbe quello di voler eliminare la differenza «tra maschi e femmine», è, in realtà, l’insieme di parole a caso, arbitrarie e scientificamente inconsistenti, ma capaci di suscitare timore e allarme. Ma ciò che ritengo grave è volersi insinuare nelle coscienze di persone che, spesso, non hanno i mezzi culturali e personali per «resistere», con falsità aberranti quali l’asserito dilagarsi di una «ideologia del gender», invero, chiaramente inesistente. Questa chimera, infatti, è nata in ambienti angustamente cattolici, conservatori e ossessionati dalla perdita del controllo, ad opera di persone che, allo stesso tempo, si sono organizzate per combattere contro questo nemico immaginario. Purtroppo credo che nessuna delle persone presenti sabato pomeriggio avesse piena contezza delle motivazioni giuridiche di fondo che li aveva spinti a uscire di casa, al di là del monito del parroco o del gruppo parrocchiale.
L’unione tra persone dello stesso sesso non può e non deve essere intesa come un problema da risolvere, trattandosi di un riconoscimento giuridico che, oltre ad essere chiaramente sacrosanto, va nel senso della storia. Come sarebbe – o dovrebbe essere – anacronistico parlare oggi di aborto o divorzio (non senza avere ben presenti nella mente le battaglie e le conquiste coraggiose delle generazioni precedenti), lo stesso varrà fra qualche anno per la fecondazione assistita (per la quale l’Italia si è meritata l’ennesima condanna della Cedu) e per i matrimoni tra omosessuali, diritti riconosciuti anche in molti altri Paesi che a noi paiono – ingiustificatamente – più arretrati in materia di «diritti civili». Quella delle sentinelle – e loro lo sanno – non è una lotta.
Una cosa che mi ha sempre fatto riflettere molto è la presenza di moltissimi giovani a questo genere di manifestazioni. Sei d’accordo? cosa ne pensi?
Questo è l’aspetto che mi ha più amareggiato e preoccupato. Vedere ragazzi con in mano libri scadenti andare a divulgare idee delle quali non hanno la piena contezza, per una loro coetanea è un brutto colpo. Senz’altro si fanno guidare, non tanto o non solo dal gruppo parrocchiale di competenza, ma soprattutto da questa «paura» che «qualcuno» di non meglio definito stia intaccando le loro «libertà fondamentali», ponendo in essere, per usare le loro parole, una sorta di «dittatura dei diritti» (concetto aberrante anche solo dal suo dato testuale!). Senz’altro non sono solo singoli ragazzi che decidono di uscire di casa con un libro in mano il vero problema, ma, come ho cercato di dire (senz’altro male) il fatto che la loro azione sia solo una pedina all’interno di questo comune e diffusissimo sentirsi preda del nemico, che sia il rom, lo straniero, il «clandestino», l’omosessuale e così via. Non semplicemente il diverso-da-sé, ma soprattutto colui che per me diventa nemico nel momento in cui credo voglia imporre propri diritti che limiterebbero i miei. Dicono di contrapporsi al pensiero unico, senza accorgersi di esserci immersi.
Insomma è una precisa strategia politica quella che alimenta questo genere di manifestazioni culturali ed ideologiche.
A mio parere sì. Strategia politica della quale le Sentinelle (e non solo loro) sono le armi principali. E poi, si sa, la paura del nuovo ha sempre rischiato di condurre a una reazione chi invece vorrebbe fare un passo indietro, perché non culturalmente pronto. Se mi permetti il paragone, è un po’ lo stesso schema attuato in questi giorni in vista delle mobilitazioni No Expo, che ha un grande predecessore nel clima che ha preceduto il G8 di Genova. Diffondere paura, individuando – ma in realtà costruendo – un nemico comune, dal quale difendersi, che giustifichi e legittimi approcci emergenziali al problema, è lo strumento più proficuo per chi vuole portare avanti un’idea, un programma, un’azione. Nulla di nuovo, è lo schema del diritto penale del nemico, da me tanto odiato e temuto.
Eva, concluderei il nostro colloquio con alcune ultime considerazioni. Sembra che strategia della paura e ignoranza siano l’alchimia perfetta per guadagnare consensi. Come credi sia possibile contrastare questa retorica, anzi, questa politica, tra il pubblico più giovane? Che tipo di alternative o risposte devono essere offerte, e chi le deve offrire? E pensi sia possibile un dialogo, ovvero una soluzione «pacificatoria» con queste persone o sarà necessaria una «lotta»?
È molto complicato individuare quali potrebbero essere le risposte più adeguate per contrastare la buona riuscita di questa pericolosa politica, soprattutto nei più giovani. Ma, un dato che, sembrerà ovvio, ma a mio parere è fondamentale è proprio la cultura. La cultura in tutte le sue sfaccettature può fornire utili strumenti per permettere, soprattutto ai ragazzi, la formazione di un pensiero critico (tutti pensiamo di averlo, ma non è così). E poi la nascita e la diffusione di movimenti nati dal basso, movimenti partecipati, inclusivi. Nel nostro paese, purtroppo, la cultura e la partecipazione hanno sempre meno a che vedere con l’istruzione, che passa attraverso un modello di pensiero dominante e piatto, spesso sterile, non vitale. Invece movimenti fortemente popolari, che nascono quasi spontaneamente, possono costituire lo strumento di reazione migliore a questa politica (che va ben oltre le sentinelle – non diamo loro più importanza di quella che hanno!). La soluzione pacificatoria va cercata, come sempre, e spero proprio si possa trovare. Purtroppo non ne sono certa, perché quando si ha a che fare con istituzioni giganti, che non si mettono in discussione (spesso non possono permetterselo), che hanno la tendenza a intromettersi nelle nostre coscienze, cercare un dialogo orizzontale è difficilissimo (mi ci scontro da sempre). Senz’altro, visto che di diritti si parla, ancora una volta la cultura (ma quella vivace e popolare che potrebbe appartenere a ognuno di noi, al di là e al di sopra dell’istruzione) può fornirci gli strumenti per resistere. Come sempre ha fatto.